Eppure, è un manifesto del nuovo calcio all you can eat.
Avevamo la necessità di scrivere queste righe, siamo onesti, perché tra ieri sera e stamattina ci siamo sentiti come dei marziani nel mondo del calcio italiano: fiumi di analisi tecniche e tattiche, cronache assurde, immotivati entusiasmi. Oggi la Gazzetta ha addirittura aperto in prima pagina con il solito faccione del numero 10 nerazzurro, il titolo “ORO LAUTARO” e il sottotitolo: “Super gol dell’argentino: i nerazzurri sempre secondi. Inzaghi: «Che squadra»”. Almeno il Corriere dello Sport ha avuto l’onestà di scrivere in apertura: “L’Inter fa il minimo”. Perché Roma-Inter di ieri, e sfidiamo chiunque a sostenere con convinzione il contrario, è stata una partita imbarazzante.
Un match dal livello tecnico e fisico allarmante, decisa per giunta da un errore (Zalewski) più che da una prodezza, con calciatori che si trascinavano in campo, squadre ferme sulle gambe, una quantità di passaggi sbagliati enorme e la sensazione che bastasse metterne di fila due-tre, di passaggi ben fatti e veloci, per trovarsi tra le linee avversarie e rendersi potenzialmente pericolosi. Sembra però che questo non si possa dire, ovvero che all’Olimpico è andata in scena una partita non solo scadente, ma addirittura inquietante. Forse per timore che crolli la narrazione del calcio spettacolo, che molti spettatori sviluppino consapevolezze, forse semplicemente per non urtare nessuno e quieto vivere.
Forse perché non c’è soluzione e alternativa.
Il problema è che ognuno porta acqua al proprio mulino, e si può dire anche di noi sia chiaro. Noi che, per forza di cose, per necessità intellettuale e rigetto corporale, ormai combattiamo la crociata contro questo calcio all you can eat come l’ha definito il nostro direttore e non perdiamo occasione di ribadirne le storture e le promesse disattese, a partire appunto da quelle riguardanti lo spettacolo. In tal senso, Roma-Inter è stata una partita manifesto di questo calcio, con giocatori che sembravano tori stanchi nell’arena e tifosi via via più disamorati, sconfortati, anestetizzati. Non proseguiamo oltre nella ‘analisi’ del match perché ci sembra anche superfluo, per non dire grottesco, come commentare un Djokovic-Nadal in Arabia al Six Kings Slam.
L’effetto dell’overdose di calcio per i giocatori è questo, l’incapacità di garantire standard prestazionali sufficienti (a maggior ragione dopo la pausa nazionali, che per molti pausa non è), mentre per i tifosi è un’anestetizzazione progressiva, una perdita graduale di interesse per le sorti stesse del football, anche a tratti per la propria squadra. Il re è nudo, il gigante ha i piedi d’argilla e i dirigenti nazionali e internazionali del calcio, privi di idee e visione, uomini e donne non all’altezza del proprio compito e del momento storico, non hanno capito che stanno portando il treno dritto contro il muro. Hanno, e anche profondamente, sottovalutato la situazione.
A forza di mandare al macello i giocatori e di ingozzare i tifosi, il prodotto non sa più di nulla. Questo calcio all you can eat, lo ripetiamo, non ha più sapore: e noi siamo in indigestione, a tratti in nausea. Non è tanto la questione di Roma-Inter, non è il particolare che può fondare una teoria (più che una teoria, una reazione) universale. Come c’è stata una partita dal livello più basso, ce ne sarà un’altra dal livello più alto. Sarebbe anche fazioso prendere un match per confermare un assunto – con tutto che ad abbassarsi è via via il livello generale, e questo è abbastanza indiscutibile. Il problema però è che il punto non è solo ‘estetico’, ma emozionale, psicologico.
Il livello in campo è solo complice, accompagna una disaffezione che si riscontra negli stessi tifosi. Ne hanno scritto in Francia, beati loro che hanno un dibattito sul tema, su l’Équipe e ne hanno anche parlato ex grandi calciatori. In tal senso, al di là degli indici di ascolto in calo, delle critiche ai nuovi format o alle dirigenze, forse il punto più importante è quello evidenziato da Lizarazu e Dugarry. È la rottura, o comunque lo sfilacciamento, di quella connessione sentimentale che è sempre stata alla base del calcio – parliamo qui delle categorie maggiori e dei top club innanzitutto.
«C’è una forma di saturazione intorno al prodotto calcistico, troppi incontri, troppe competizioni inutili, troppi abbonamenti per guardarli, mancano punti di riferimento. A volte perdiamo l’emozione di vedere una partita».
Bixente Lizarazu
Gli ha fatto eco Dugarry: «Non credo ci sia un disincanto ma un disinteresse, ed è anche peggio. Che ci sia vittoria o sconfitta, alla gente non importa, è diventata indifferente, ha cose migliori da fare. L’obiettivo delle istituzioni non è mai stato migliorare il calcio, ma solo fare più soldi e con un’unica soluzione: aggiungere sempre più partite (…) È incredibile il numero di partite inutili che abbiamo visto. E quando Deschamps dice: ‘se le persone si annoiano, cambino canale’, è terribile. Lo stesso vale per Mbappé, che spiega in conferenza stampa che non gli importa cosa pensano i fan. Non si rendono conto di chi li paga… Tutto ciò crea una distanza, c’è sempre meno umanità e questo la gente lo sente».
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Questo fine settimana ci sono state Juventus-Lazio, Roma-Inter, match un tempo di cartello e la sensazione, nell’aria, è che in fondo non importasse poi tanto a nessuno. O comunque che importasse molto meno di un tempo. È il risultato di un calcio da allenamenti industriali, e in parte – superato ormai il legame sentimentale e identitario di un tempo – anche di un livello che non aiuta la fruizione piacevole delle persone. Perché se prodotto deve essere, che il prodotto sia almeno impeccabile. E se calcio spettacolare deve diventare, che non offra partite come quella di ieri.
Perché poi finiamo nel paradosso, percepito da sempre più persone, marziani come noi, per il quale ci viene ripetuto che un all you can eat è un fine ristorante stellato. E noi, che un minimo di papille gustative le abbiamo ancora, il minimo indispensabile per giudicare, potremmo pure farci due conti e rinunciare al ristorante. O meglio, al fast food.
Immagine di copertina Lega Serie A, via X