Un ricordo della pellicola più amata dai calciofili italiani.
“Non ha importanza dove si è nati, quando come e dove si sono avuti i primi approcci con il calcio, per diventare un appassionato, un tifoso. Il tifo è una malattia giovanile che dura tutta la vita” (Pier Paolo Pasolini).
Lo stadio, quanto è bello andare allo stadio. Ascoltare i suoi rumori, sentire i suoi odori: l’erba tagliata di fresco, il sudore di chi ti esulta vicino, la passione di chi ti abbraccia per festeggiare insieme. Elementi che dalla TV di casa non si possono percepire.
Se a partire dai primi anni duemila una serie di fattori (caro biglietti, dominio delle pay-tv con conseguente formato “spezzatino”) ha progressivamente indotto una disaffezione del tifoso, ci ricordiamo un’epoca nella quale lo stadio era ancora la fonte principale da cui attingere le più pure sensazioni della passione per il calcio. Ode agli anni ’90. Ode al “campionato più bello del mondo”. Ode alle “sette sorelle”. Ode ai grandi campioni che calcavano i campi da gioco italiani e che tutto il mondo ci invidiava, alle radioline che ne narravano le gesta, a “Novantesimo minuto” e agli stadi gremiti domenica dopo domenica.
Il film Tifosi, diretto da Neri Parenti, è ambientato alla fine degli anni ’90, precisamente nella stagione 1998/1999. Si tratta di una rappresentazione ironica, sarcastica ma non troppo, della figura del tifoso sfegatato. La trama si sviluppa su quattro storie per lo più slegate tra loro ma accomunate dalla passione dei protagonisti per la propria squadra del cuore e dal loro legame viscerale col sacro appuntamento domenicale: la partita di campionato da guardare direttamente allo stadio.
I personaggi principali del film tifano rispettivamente per Milan, Roma, Inter, Lazio, Napoli e Juventus. Per molti di loro, l’estrazione sociale da cui provengono rispecchia in buona parte le caratteristiche che i tifosi storici della loro squadra hanno incarnato. È così per Silvio Galliani, interpretato da Massimo Boldi: tassista dotato di una anonima Fiat Brava dal nome “Zaccheroni 4” e di un piccolo monolocale tappezzato con sciarpe e poster rossoneri. La sua figura umile ricorda il proletariato, i “casciavit”, i tifosi milanisti della classe operaia che usavano come strumento di lavoro il cacciavite.
Per non parlare del chirurgo Proietti e del pilota dell’Alitalia Colombo, tifosi rispettivamente di Lazio e Inter, espressioni di una classe sociale benestante, quasi a ricordare la borghesia rappresentata e difesa dai “bauscia” interisti e dai laziali loro gemellati.
E per la Roma e il Napoli? Maurizio Mattioli e Angelo Bernabucci interpretano due tifosi romanisti “coatti”, di estrazione popolare e dalla parlata sguaiata, mentre Nino D’Angelo interpreta un tifoso del Napoli, da poco uscito di prigione e che, in difficoltà economiche, si ritrova costretto a svaligiare una villa per poi mollare il bottino causa “amore per il proprio idolo”.
Il tifoso della Juve rappresenta di per sé un unicum nel contesto di estrazioni sociali e tifoserie storiche fin qui descritto: Diego Abatantuono, nonostante la sua personale fede milanista, personifica con grande carisma il capo ultrà juventino Vito La Monica, alias “Zebrone”. La Monica incarna con simpatia alcuni degli stereotipi del mondo ultrà, come le proteste eclatanti contro decisioni arbitrali discutibili, il gruppo di adepti a lui fedele e sotto il suo controllo (gli Zebrini) e la tendenza ad essere coinvolto in risse ed aggressioni con le tifoserie avversarie.
E proprio tra i gruppi organizzati antagonisti a Zebrone appare la tifoseria di una delle squadre icona degli anni ’90: il Parma di Calisto Tanzi, sponsor Parmalat, Buffon in porta, Thuram e Cannavaro in difesa e Crespo in attacco. Il Parma simbolo del calcio di provincia che sfida i colossi italiani ed europei a suon di miliardi.
Sono tanti gli stereotipi portati avanti dal film, per renderlo attinente alla realtà di quel tempo. È così che Gennaro, il tifoso del Napoli, mantiene un affetto smisurato e incondizionato verso la squadra partenopea nonostante questa sia una nobile decaduta. Sono gli ultimi anni della presidenza Ferlaino, la retrocessione in Serie B arrivata solo qualche mese prima e la nostalgia per i tempi di Maradona. Eppure il buon Gennaro è disposto a seguire la sua squadra anche “ad Atalanta” e ad interrompere lo svaligiamento pur di guardare la partita del Napoli alla scoperta della presenza di “o’ decodèr” all’interno della villa. Per poi essere pronto a restituire il bottino del furto appena saputo che la villa svaligiata era di Maradona. “Chiss’ è nu sacrilegio. Peggio Gennà, è una profanazione”.
La fine degli anni ’90 rappresenta gli ultimi scampoli di circolazione della Lira e di una narrazione sportiva italianissima, piena di passione, di retorica popolare, diretta, a volte goffa e stravagante ma autentica. Aldo Biscardi e Maurizio Mosca si alternano tra arringhe accorate e fomentatrici di polemiche, moviole e pendolini. E proprio con Mosca il milanista Galliani ha una accesa discussione tra accuse di portare sfiga, offese e minacce di ricorso alle forze dell’ordine. Sullo stile delle più celebri telefonate agli studi di Antenna 3.
Sono ancora gli anni del Totocalcio e del “tredici” da un miliardo di Lire.
Ed attorno al Totocalcio si consuma il “dramma” umano del povero Galliani, che per sbaglio scommette sulla vittoria esterna della Roma contro il suo Milan e che, al primo gol del Milan, gioisce e lancia la schedina tra gli spalti di un San Siro gremito. Per poi lasciare spazio ad una tragicomica disperazione quando la Roma vincerà la partita e lui non riuscirà a ritrovare la schedina che gli avrebbe fatto vincere un miliardo.
“Tifosi” è un film che racconta con ironia e una buona dose di realtà la viscerale e sfegatata passione per una squadra del cuore, seppur con qualche imperfezione anacronistica e storica (la accesa rivalità tra Lazio e Inter messa in scena nella pellicola mal si lega con l’ancora duraturo gemellaggio tra le tifoserie delle due squadre). Ma il principale intento di “Tifosi” è quello di mettere in luce la fede calcistica, ciò che per un tifoso puro va sempre affermata, nel bene e nel male, in ogni circostanza e nei modi più disparati. “Perché poi, la domenica, allo stadio, si ritorna un po’ bambini”.