Caccia rituale, istinto. Liberazione e depensamento.
Victor Osimhen non è un centravanti di manovra e nemmeno un bomber vecchio stampo. I suoi piedi piatti rendono la sua falcata dinoccolata, eppure terribilmente efficace. Quando corre alza e agita le braccia verso l’alto, quasi a voler tagliare con furente impazienza lo spazio che gli si pone di fronte. Fa parte di quei giocatori che non fanno ciò che è giusto, ma ciò che sentono. Di quelli che vivono al limite e che corrono costantemente il rischio del loro fallimento. Non pondera mai le sue scelte e non gestisce il ritmo: non riesce e forse non può. Spesso accelera da solo, senza aspettare l’arrivo dei suoi compagni di squadra. Aborrisce la moderazione: il calcio, per Osimhen, è una caccia rituale da vivere al massimo delle proprie potenzialità.
La sua infanzia è ardua. Cresce a Lagos (nei pressi della discarica di Oregun) e trascorre le sue giornate vendendo per strada cartoni d’acqua e dividendo con i sei fratelli soltanto un letto e una sedia. A livello calcistico di lui si parla dal 2015, quando trascina la sua Nigeria alla vittoria del mondiale Under 17 (con 10 reti in 7 partite). Poi passa al Wolsburg, ma senza lasciare mai davvero il segno. La vera svolta della sua carriera arriva al Lille. In Francia lo scenario è perfetto. La squadra è giovane e l’allenatore, Christophe Galtier, esalta le sue straordinarie qualità fisiche in campo aperto. Victor Osimhen segna diciotto reti stagionali e attira le attenzioni di mezza Europa. A spuntarla, alla fine, è il Napoli.
E pensare che l’infortunio al volto del novembre 2021 poteva segnare la fine della sua carriera: «la guarigione è avvenuta in tempi decisamente sorprendenti, potrebbe anche rimuovere la maschera ma probabilmente c’è anche un discorso scaramantico. Deve decidere lui, forse per il suo modo di giocare è anche un bene che continui ad indossarla. Il ragazzo è stato esemplare nel corso di questo percorso» (G. Tartaro, chirurgo che lo ha operato).
Ora Osimhen si è ripreso, ma ha deciso di non rimuovere, in campo, le protezioni dal suo volto. Così come i popoli primitivi indossavano maschere nelle cerimonie religiose per mettersi in contatto con l’energia della natura e degli spiriti, Osimhen lo fa per perdere la propria identità e connettersi con la sua dimensione più selvaggia e ferina. La sua maschera non lo nasconde, ma lo rivela. Soprattutto, rivela il suo modo di intendere il calcio, che è per lui rito di liberazione e appagamento di istinti naturali. È vivere nel “depensamento”, in una totale immersione nell’immediato. È realizzazione, sul palcoscenico del prato verde, di atti sempre nuovi e per questo irriproducibili.
«Osimhen deve migliorare molto nella gestione della palla, deve essere più lucido nelle scelte di gioco. Lui è utilissimo nell’attacco alla profondità, dove è maestro. Però deve saper gestire di più la palla, deve essere più utile alla squadra».
Luciano Spalletti
A Napoli, tra Osimhen e Kvara, impazzano i calciatori selvaggi. Per la gioia nostra e di Marco Ciriello
E se Spalletti afferma che Victor deve migliorare nella scelta delle sue giocate e nella capacità di dialogare con i compagni, a noi, francamente, interessa poco. Adoriamo Osimhen proprio per questo, perché vive il calcio come l’archetipo delle esperienze piacevoli. Perché si sottrae al nostro illusorio bisogno di controllo e ci invita ad accettare di buon ordine il caos, ricordandoci che è impossibile eliminare da questo sport la contingenza. Perché gioca per sfogo, allo stesso modo in cui giocherebbe per strada, laddove schemi e tatticismi non hanno senso di esistere.
Il nigeriano gioca un calcio liberatorio che sfugge alla ragione ma allo stesso tempo è comprensibile a tutti: un esperanto calcistico che ha il sapore dell’infanzia, di dimensioni lontane ma paradossalmente conosciute. Adoriamo Osimhen perché è un hapax, una ginestra che cresce spontaneamente nel deserto calcistico dell’ordinarietà circostante, e che ci riporta in una dimensione, umana e calcistica, ancestrale. Guerra, caccia, istinto, liberazione. E legge del più forte, quella che Victor Osimhen sta imponendo alle difese di tutta Italia.