Tra livrea e pista, la confusione regna sovrana.
Dalla livrea alle prestazioni in pista, i rapporti interni alla squadra, la comunicazione mediatica: Ferrari a Miami dimostra di non avere un indirizzo tecnico che porti risultati, ma ancor prima dimostra di non avere un’identità, una credibilità. Manca tutto ciò che dovrebbe contraddistinguere la scuderia italiana: il lato umano, lo stile, l’agonismo. Manca una posizione di leadership, e anche Fred Vasseur sta faticando a trovare la quadra. Ciò sta inevitabilmente allontanando il Cavallino dai tifosi, stanchi di illudersi tra narrazioni e sogni di gloria.
Se l’obiettivo iniziale raccontato da addetti ai lavori e media per il 2025 della Rossa era quello di proseguire la scia di risultati incoraggianti di fine 2024, i test pre stagionali l’avevano già collocata come seconda o terza forza, con distacchi comunque minimi rispetto agli avversari e McLaren più pronta e competitiva. Una situazione non definitiva e preoccupante, in una Formula 1 abbastanza livellata in termini di prestazioni e di competitività tra i team, confermata dalle prime gare nelle quali Charles Leclerc ha tenuto assieme le speranze con delle prestazioni meravigliose.
Nel GP di Miami, però, Ferrari si è ritrovata quinta forza, a battagliare con Albon, Sainz e una Williams in forte recupero tecnico. E lo sconforto, più che la preoccupazione, sale come ad ogni stagione iniziata in modo deludente degli ultimi anni.
A prescindere dal fatto che il Gran Premio di Miami sia di per sé sconcertante in senso motorsportivo generale, dato il livello ridicolo di spettacolarizzazione da yacht club nell’acqua finta – un gp talmente brutto, visto qui dalla Vecchia Europa, che la miglior risposta sarebbe ignorare lo show in toto – la prima sconfitta a balzare all’occhio è stata la livrea ferrarista. Ci chiediamo come sia possibile, con la cultura estetica italiano-ferrarista, gli studi e la tecnologia grafica a disposizione, offrire una monoposto colorata in quel modo: disarmonica nelle linee, dissonante negli abbinamenti di colore, grafiche non integrate tra loro. In una parola: brutta.
Perché una Ferrari può anche avere eccezionalmente una livrea non rossa, ma la ricerca della bellezza eterna dovrebbe essere la regola aurea per le monoposto italiane. Il Cavallino Rampante è da sempre sinonimo di eccellenza totale. Ed è proprio perché lo sponsor ricopre di soldi la Ferrari che andrebbe studiata un’estetica esaltante nella vettura di Formula 1, adeguata al prestigio del marchio, non una trovata pubblicitaria così approssimativa e mal realizzata. Altrimenti, pure la Ferrari sprofonda nella logica per cui esiste solo lo spazio pubblicitario immediato, senza che nessuno dei vertici si preoccupi di metterlo in discussione.
In questo caso poi la forma è sostanza perché se è vero che è “meglio una macchina brutta ma vincente che una bella ma perdente”, la SF-25 vista a Miami continua a dimostrarsi lenta oltre che inguardabile, sotto le aspettative tecniche e difficilmente interpretabile da entrambi i piloti. Nelle piste “vere”, si era detto, Leclerc ha fatto la differenza su Lewis Hamilton, eppure a Miami il rendimento è stato simile, soprattutto nella gara lunga. Un settimo e un ottavo posto rispettivamente che proprio non sanno di niente.
Ciò che aumenta però la preoccupazione, al netto della non competitività della monoposto ,è il rapporto tra i due piloti e la squadra. Si rivedono, ad esempio, i bisticci tra Riccardo Adami e Hamilton che giustamente non ha apprezzato la (confusa) strategia di fare lo swap di posizioni con Leclerc – andava fatto subito, non dopo 4 giri. Uno dei tanti esempi stagionali in cui i piloti “litigano” tra loro e con il muretto inutilmente, qui per la settima posizione. E una difficoltà oggettiva di prestazione affiancata a un disordine di squadra che, a fatica, si riesce a sanare a fine gara con le dichiarazioni a mezzo stampa.
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Il momento è complicato, il disorientamento è palpabile; nell’attesa degli aggiornamenti tra Imola e Barcellona, una gestione piloti complessa e l’orizzonte del cambio regolamentare. Risultato: una livrea disturbante, una squadra slegata, obiettivi non chiari, narrazione mediatica confusa. Ma la domanda è: esiste un responsabile? Qualcuno che dovrebbe spiegare e metterci la faccia? Sono queste le occasioni in cui emerge la (ormai nota) mancanza di una leadership carismatica e lucida al vertice della piramide.
Qualcuno che indichi la direzione e abbia una visione, che parli in prima persona il linguaggio della pista e si rivolga ai tifosi. Qualcuno che sia profondamente consapevole della storia e dell’anima della Ferrari. Un’anima che lo stesso Montezemolo lamentava di “non vedere più”, confessando di essere ‘triste’ per le sorti della Rossa in un stato d’animo che accomuna migliaia, probabilmente milioni di italiani. Di questo sentimento, e di questo spaesamento, permetteteci di dire: qualcuno dovrebbe renderne conto.