Una settimana fa, a sfogliare i giornali, sembrava che la Juventus fosse già campione d’Italia. La vittoria di Udine non era arrivata per caso. Anzi. Secondo alcuni Allegri aveva rinunciato a gran parte delle sue vacanze estive e come un anacoreta aveva vagato in giro tra i monasteri più sperduti e impervi d’Europa per conoscere il segreto del calcio moderno. Era tornato alla Continassa dimagrito, fiero e motivato, pronto a scagliare su ogni singolo campo da calcio italiano, come una folgore abbacinante, tutto ciò che aveva appreso.
Con sé aveva portato un nuovo discepolo, Magnanelli, personalità a metà tra un taumaturgico deus ex machina e un’eminenza grigia in grado di fornire consigli salvifici. In meno di un mese la Juventus era diventata finalmente europea: bella, intensa e spregiudicata. Non solo: era diventata un modello in stile NFL. Ognuno nello staff aveva un ruolo prestabilito: un allenatore per l’attacco, uno per la difesa. Uno per la tattica e uno per i dati statistici. A Magnanelli, simbolo della svolta, l’arduo compito di offensive coordinator. E ad Allegri, relegato a un marginale ruolo di comparsa, non restava altro che pendere dalle labbra dell’ex capitano del Sassuolo, oramai riconosciuto da tutti come il vero allenatore della Juventus.
Le amichevoli estive e la prima frazione di Udine erano state considerate prove sufficienti per gridare alla rivoluzione. Superfluo considerare che era pur sempre calcio d’agosto e che già nel secondo tempo contro i friulani la Juve era calata vertiginosamente. La Titolite si era ormai diffusa in maniera endemica, mietendo vittime illustri e non dando adito a possibili opinioni più moderate. E così in un batter d’occhio il giovane Andrea Cambiaso (58 presenze in Serie A prima di Udinese – Juventus) era diventato l’uomo a cui era impossibile rinunciare, Timothy Weah il nuovo (e, perché no, migliore) Cuadrado, Federico Chiesa il fenomeno di un tempo e Dusan Vlahovic il bomber spietato dei tempi della Fiorentina. A placare il periglioso vento dell’entusiasmo ci aveva pensato proprio Massimiliano Allegri, al termine della prima giornata di campionato:
“Bisogna sfruttare al massimo le caratteristiche dei giocatori. Rimaniamo coi piedi per terra, non pensiamo di aver risolto tutto e subito. Sono contro queste cose che vengono dette. Dopo il 2-0 abbiamo mollato, poi per fare certe cose bisogna stare ordinati”.
E infatti è bastato un buon Bologna, che di certo tremare il mondo non fa, per rovesciare rapidamente tutto. A sfogliare i giornali, ora sembra che la Juventus sia esattamente quella dell’anno scorso. Peggio: che non sia in grado di arrivare nemmeno tra le prime quattro. Tutto è cambiato, tutto è nuovamente da buttare. Allegri è il solito difensivista, Chiesa vive un costante conflitto tattico e Magnanelli, che avrebbe la soluzione per tutto, non viene abbastanza ascoltato.
La verità, come spesso accade, probabilmente sta nel mezzo. È innegabile che la Juve stia provando a fare cose diverse, che oggi riescono soltanto a tratti. Che stia cercando di pressare più alta, portando più uomini all’interno dell’area di rigore avversaria. È altrettanto innegabile, tuttavia, che questa squadra continui ad avere enormi problemi nella sua rancida e illanguidita manovra offensiva, che danza ma non avanza. La Juve, con le squadre chiuse, è spesso in difficoltà: creare nitide occasioni da rete risulta eccessivamente arduo.
Il potenziale offensivo non viene sfruttato a sufficienza e troppe volte a regnare è la confusione. Infine, non si può negare che la Juventus non abbia risolto i suoi problemi di organico: è l’unica big a non essersi rinforzata. Gli altri hanno comprato, la Vecchia Signora ha lasciato andare alcuni dei suoi uomini di maggiore qualità (Di Maria e Cuadrado su tutti) senza sostituirli adeguatamente. Le difficoltà nel reparto di centrocampo permangono oramai da anni e in difesa la presenza costante di Alex Sandro (giocatore in chiara difficoltà da almeno tre stagioni) testimonia delle carenze lampanti e preoccupanti. Forse, come suggerisce qualcuno, alla Juve serve soltanto tempo.
“Dobbiamo ripartire dalla ripresa. Abbiamo segnato solo un gol e non abbiamo vinto ma da dietro è stato splendido vedere quell’atteggiamento aggressivo, dobbiamo credere di poter fare questo. […] Per i cambiamenti serve tempo. Lavoriamo tanto, ma siamo consapevoli che nei percorsi il tempo è padrone e va rispettato. Con le qualità morali dentro lo spogliatoio presto riusciremo ad imporci”.
Mattia Perin, post Juventus-Bologna
Se è vero che la squadra di Allegri ha iniziato un percorso nuovo e differente, allora è necessario fermarsi e fare qualcosa di desueto, che al giorno d’oggi è decisamente passato di moda: sospendere il giudizio. Perdonateci, dunque, se almeno noi non ci abbandoneremo a estremismi e giudizi definitivi, che al giorno d’oggi fuggono e non s’arrestano un’ora. Aspetteremo, valuteremo e pondereremo ogni nostra singola parola. Osserveremo dall’alto, come un marinaio che guarda all’orizzonte e prima di gridare “Terra!” si assicura di vederne almeno un lembo in lontananza. Saremo fermi, ma certamente non inerti.