Altri Sport
03 Novembre 2020

Mick Schumacher è solo un'operazione di marketing?

Non vorremmo essere nei panni del figlio d'arte.

Il piccolo Schumacher si avvicina a grandi passi verso la classe regina dell’automobilismo, quella Formula 1 dominata per lungo tempo da suo padre Michael. Il figlio del Kaiser rappresenta – come Verstappen, Piquet Jr, Nico Rosberg e altri – un esempio di successione dinastica nel motorsport, una dinamica sociologica, questa, che meriterebbe un approfondimento dedicato.

 

 

Com’è successo in epoche diverse con Bruno Senna, che per sua fortuna era “solo” il nipote del compianto Ayrton (figlio della sorella), il cognome da portare pesa enormemente. Lo stesso che ha fatto sognare il popolo italiano di fede ferrarista e il popolo tedesco, e che ci rimanda all’epica di un assoluto protagonista dello sport moderno.

 

 

Talento, velocità, fame, cattiveria agonistica, spirito di squadra, il Cavallino Rampante, caratteristiche che hanno reso leggenda la storia scritta dal fenomeno Michael Schumacher. Caratteristiche che, purtroppo o per fortuna, non godono di ereditarietà ma che gli uffici marketing possono sfruttare attraverso quel cognome-brand per monetizzare. E allora già da tempo il nome di Mick Schumacher viene prepotentemente pompato dai media che, spesso, passano sopra alle reali capacità del ragazzo in favore del cognome e dell’operazione simpatia/nostalgia ad esso collegata.

 

Fin dove potrà spingersi Mick Schumacher? (Ph Lars Baron/Getty Images)

 

 

Anche il presidente della FIA Jean Todt ha recentemente affermato:

“Mick ha un grande nome, ma i grandi nomi non guidano le macchine”.

 

Nel frattempo Mick Junior in termini tecnico-sportivi ha dovuto fare la propria gavetta, non brillante quanto quella dei suoi futuri avversari Lewis Hamilton, Max Verstappen o Charles Leclerc, ma pur sempre sufficiente per meritarsi lo status di pretendente al sedile in F1. Se lo merita quel sedile in F1? Ovviamente non siamo in grado di rispondere, ma abbiamo ad oggi una sola certezza: quel cognome, nel mondo dei grandi, non sarà più un aiuto quanto invece un peso.

 

 

Il figlio d’arte dovrà avere – comunque vada – spalle straordinariamente larghe, non potendo contare su quella spensieratezza mista ad incoscienza che spesso è la migliore alleata per un esordiente. D’altronde già abbiamo parlato del rapporto padre-figlio nello sport, un rapporto pieno di insidie soprattutto quando la presenza del padre è assai ingombrante. Ecco, immaginatevi adesso per un attimo di trovarvi nei panni di Mick Schumacher: pensate a cosa voglia dire portare quel cognome in Formula 1, soprattutto dopo ciò che è successo a Michael.

 

 

Ma questo, come se non bastasse, nemmeno esaurisce il discorso: Mick non solo deve sostenere il peso del proprio cognome, ma anche la stessa operazione di marketing costruitagli attorno da promoter sempre alla ricerca di nuovi prodotti da vendere (e anche dalla stessa Ferrari, in crisi di risultati e d’identità). Sulla sua pelle si giocano purtroppo questioni più grandi, che rischiano quando di travolgerlo quando di esaltarlo. Certamente per lui ci sono più fretta e aspettative, probabilmente troppe per un normale ragazzo di 20 anni.

 

Hamilton immortalato mentre riceve da Mick Schumacher il casco del padre Michael in occasione del Gran Premio di Nuerburgring dello scorso 11 ottobre (Ph Peter Fox/Getty Images)

 

 

Se i risultati sportivi non saranno dalla sua parte, questa storia svanirà velocemente come una bolla di sapone e un prodotto da cestinare. E al netto delle previsioni e di ciò che avverrà, la prospettiva conferma una tendenza generale: lo sport si sta snaturando verso show-business estremo e intrattenimento tout court, usa e getta. Quanti soldi vale commercialmente il cognome-brand Schumacher? Sicuramente molti più di quanti un qualunque giovane talento emergente, magari più promettente, potrebbe assicurare.

 

 

L’imminente approdo di Mick Junior in Formula 1 dunque ha tutta l’aria di un’operazione di marketing in piena coerenza con la gestione Liberty Media, in cui le parole d’ordine sono entertainment e business in salsa americana, mentre lo sport è sempre più ai margini del racconto. D’altronde il brand Schumacher è forte e anche a Ferrari sembra interessare il valore commerciale dell’operazione, dimenticando forse che proprio il padre tradì il fu presidente Montezemolo e il rapporto con la Rossa di Maranello per chiudere la carriera con la Stella di Stoccarda. Oggi l’importante è vendere, soprattutto speranze. Ma domani?

 

 

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