Dalla panchina del Bar Bruna all’Europa: un allenatore divenuto icona popolare.
“Se la sente di allenare il Perugia?”. Quella domanda posta a folle velocità aveva l’effetto di un colpo sparato a bruciapelo. La mente di Serse Cosmi ripercorse il suo passato: l’infanzia sulle rive del Tevere, la Pontevecchio, il Perugia, gli striscioni appesi al Santa Giuliana, e poi la morte di Renato Curi, i gol di Paolo Rossi. Quel nastro non smetteva di girare, avanti e indietro. Fino a quando Serse non tornò alla realtà, negli uffici della Galex, seduto con i gomiti appoggiati sulla scrivania: “Sì, me la sento”. Per Serse Cosmi, perugino di Ponte San Giovanni, il Perugia era più di un sogno: “Qualcosa che probabilmente non esiste. E invece era tutto semplicemente vero”. Rispose, come riportato nella sua biografia (‘L’Uomo del Fiume’, Serse Cosmi, Enzo Bucchioni, Dalai Editore, 2004) :
“Con un filo di voce a quel ragazzo seduto davanti a me che doveva essere qualcosa di più di un angelo, forse qualcosa più di Dio”. Ma che in realtà eraAlessandro Gaucci, figlio del patron Luciano.
Il 4 febbraio 2000 Serse divenne l’allenatore del Grifone per la stagione successiva. Gaucci aveva in mente un progetto che avrebbe rivoluzionato il calcio italiano. La linea da seguire era quella di valorizzare talenti sconosciuti per poi rivenderli a peso d’oro sulla falsariga dell’operazione Nakata. Il giapponese, arrivato a gennaio 1998 dallo Shonan Bellmare per 3 miliardi di lire, era stato ceduto un anno e mezzo dopo alla Roma per 30 miliardi. Il tutto avrebbe ruotato attorno ad un’intensa attività di scouting di calciatori provenienti da ogni angolo del mondo.
Un ritratto serio di Serse Cosmi (Ph: Francesco Pecoraro/Getty Images)
Per la nuova politica del Perugia, la società aveva stilato l’identikit dell’allenatore ideale e il profilo rispondeva a quello di Serse Cosmi: un tecnico sconosciuto, fuori dal giro di Serie A e B, con grande carattere e disposto ad accettare i programmi del club. Cosmi era affascinato da quello strano progetto. Durante l’incontro intervenne telefonicamente Luciano Gaucci con una raccomandazione: “Non mettiamoci a parlare di contratto e ingaggio”. Serse non lo avrebbe mai fatto. Azzardò un ghigno: “Il mio contratto è il Perugia, non quello che c’è scritto”. Ingaggio da 150 milioni di lire netti a stagione, 20 in più di quanti gliene garantiva l’Arezzo. Ma dentro quel contratto era nascosta una clausola alla fiducia: l’opzione per altre quattro stagioni. Sarebbe toccato a Cosmi convincere Gaucci ad esercitare il rinnovo pluriennale.
Il primo colloquio con Gaucci jr si concluse dopo un’ora e mezzo. “Uscii con il pre-contratto in tasca. Per un po’ uscii anche di testa”. Iniziò subito il lavoro di scouting, quello che avrebbe permesso al Perugia di oltrepassare la propria dimensione. Alessandro Gaucci aveva allestito una vera e propria sala di monitoraggio negli uffici della Galex, azienda di abbigliamento di proprietà della famiglia e fornitore tecnico del Perugia. Un centro multimediale con otto schermi e la possibilità di registrare sedici partite contemporaneamente da tutto il mondo. Sul tetto cinque antenne satellitari e una connessione ad internet per consultare dati e statistiche di ogni calciatore.
Gli incontri tra Serse e Gaucci avvenivano di notte a Madonna Alta, quartiere residenziale della città, lontano da occhi indiscreti. Carletto Mazzone (che mai avrebbe accettato la nuova linea imposta da Gaucci) era ancora sulla panchina degli umbri, impegnati nella salvezza. Tutto ciò richiedeva rispetto. Lo stesso Cosmi era sotto contratto con l’Arezzo, in Serie C1: “Avevo già deciso di lasciare Arezzo, ma lottavamo per la B, mi sentivo emotivamente coinvolto”.
Alessandro Gaucci lo aspettava tutte le notti con il videoregistratore accesso e una pila di cassette da guardare. Materiale in abbondanza, filmati di partite e sedute di allenamento pronte ad essere esaminate. “Possiamo ricevere e registrare filmati 24 ore su 24, da ogni angolo del mondo”, ricordava Gaucci a La Gazzetta dello Sport. Attenzione focalizzata sui Paesi calcisticamente emergenti ma anche su Belgio, Svizzera, Croazia, Grecia, Olanda, paesi scandinavi, Polonia e Russia, “dove fare il colpo è più facile”. Poi il classico Sudamerica e quindi l’Oriente con Giappone e Cina. Un occhio di riguardo anche sull’Africa.
“L’abilità – ricorda Serse di quelle notti – consisteva nel capire prima di altre squadre le qualità tecniche di certi atleti sottovalutati o addirittura di andarli a scoprire in campionati non ancora battuti dai talent-scout tradizionali”.
Luciano Gaucci è stato il presidentissimo per eccellenza
Quei nastri nascondevano immagini di giocatori divenuti iconici, simbolo del Perugia e del calcio italiano di inizio millennio. L’inchiostro sui taccuini incise nomi esotici e cognomi improbabili: il sudcoreano Jung Hwan Ahn del Busan IPark, l’argentino Pablo Guiñazú del Newell’s Old Boys e il cinese Mingyu Ma del Sichuan FC. Anche il mercato italiano, setacciato in lungo e in largo dalla Serie C ai dilettanti, diede i suoi frutti: Gaucci e Cosmi ingaggiarono Marco Di Loreto e Michele Tardioli dall’Arezzo (Serie C1), Fabio Liverani e Davide Baiocco dalla Viterbese (C1) e Mirko Pieri dal Grosseto (Serie D).
Dalla Grecia approdò a Perugia anche un attaccante che univa tecnica e rapidità. Lo notò lo stesso Cosmi durante un’amichevole contro il Paok di Salonicco: “Vengo a sapere che si chiama Zisis Vryzas, che non lega con l’allenatore e si sente sottoutilizzato”. Gaucci fiutò l’affare e lo mise sotto contratto. Dal Cruzeiro rientrò dal prestito anche il talentuoso terzino brasiliano Zé Maria. Dal Milan venne strappato in prestito il giovane Luca Saudati. Dall’Everton tornò il capitano: Marco Materazzi. Era reduce da una stagione disastrosa: 27 presenze e 4 espulsioni. Il Times scriverà dopo i mondiali 2006: “Ha vinto la coppa del mondo con l’Italia ma il lungagnone durante il suo periodo al Goodison Park non sarebbe stato in grado di marcare nemmeno una bistecca”. Il Perugia dei miracoli aveva iniziato a prendere forma.
Serse e Materazzi a colloquio durante un incontro
Anni avanti sarebbe toccato ad altri sconosciuti salire sulla giostra del Curi: l’iraniano Rahman Rezaei, il greco Traianos Dellas, l’australiano Zeljko Kalac e il maliano Souleymane Diamoutene, oltre agli azzurri Fabio Grosso, Fabrizio Miccoli e Manuele Blasi. Una centrifuga multietnica di talenti, bidoni e una meteora su tutte: Al-Saadi Al Gheddafi, terzo figlio del leader libico Mu’ammar Gheddafi.
“Ho un’unica ambizione: rivedere i tifosi con la voglia di riconoscersi e identificarsi in quella squadra per i valori e le qualità che avrebbe saputo esprimere, dal coraggio alla combattività”.
Serse Cosmi si presentò alla stampa da nuovo allenatore del Perugia con “la convinzione di non aver fatto capire niente”. Ma in quelle parole credeva per davvero. Il viaggio dell’uomo cresciuto lungo le rive del fiume era arrivato a destinazione: il Grifo era finalmente suo.
L’uomo del fiume
La finestra socchiusa lasciava entrare il brusio della corrente. Il fiume sussurrava, il mormorio delle acque sembrava scandire parole. A Serse il rumore del fiume scatenava qualcosa dentro: “Ma non chiedetemi cosa. A volte mi sento più leggero, altre più sereno, sempre sono appagato”. Di certo quel rumore dava un senso al silenzio. Il Tevere scorre dentro di lui:
“È la mia vita, i miei ricordi. Sul Tevere ho cominciato a camminare, sono cresciuto, sono diventato grande”.
Le acque custodiscono ricordi di estati trascorse sulle spiagge che sbucavano al ritirarsi delle piene. Lo chiamavano Lido Tevere. Diventava lido di Perugia, un’oasi di allegria. Papà Antonio era per tutti “Tonino il fiumarolo”: un mestiere antico che univa dedizione e natura. Tonino era il guardiano del fiume e Serse il suo piccolo aiutante. Insieme pescavano le anguille a mani nude e tiravano su le reti dal moscone nelle battute notturne di pesca: uno spettacolo di carpe, barbi e lasche.
A Ponte San Giovanni, frazione alle porte di Perugia dove Serse è nato e cresciuto, Tonino era conosciuto anche come ‘Pajetta’, in onore del dirigente del Partito Comunista Giancarlo Pajetta. Per Tonino il partito era una fede quasi quanto il ciclismo. Tifosissimo di Fausto Coppi, riservó a Serse il nome del fratello del Campionissimo, scomparso nel 1951 per i traumi riportati in seguito ad una caduta al Giro del Piemonte. Un nome da gregario, che sa di fatica antica.
Tutta la grinta di mister Cosmi racchiusa in uno scatto (Ph: Francesco Pecoraro/Getty Images)
Tutto nacque da una vecchia promessa fatta da papà Tonino a Fausto Coppi attraverso una lettera: “Caro Fausto, presto avrò un figlio e lo chiamerò Serse, come tuo fratello. In memoria di tuo fratello”. Il Campionissimo lo ringraziò con un bigliettino inviato a Ponte San Giovanni dopo il suo ritorno dal Tour del 1951. Per mantenere la parola data, Tonino dovette aspettare altri sette anni, quando nacque il primo figlio maschio (il terzo dopo Annarita e Guglielma). Il nome “Serse” sarebbe toccato al terzogenito, venuto alla luce il 5 maggio 1958.
Il fiume cucì addosso a Serse un animo semplice, umile e fiero. Si innamorò del pallone, iniziò a giocare ma non sarebbe andato oltre i confini locali, tra la Promozione e la Prima Categoria. Meglio da allenatore. La prima volta in panchina in un torneo estivo tra i bar di Pontevecchio. Allenatore del Bar Bruna. L’investitura arrivò per caso da alcuni amici: “Abbiamo deciso, quest’anno l’allenatore lo fai tu”. Avrebbe guidato in campo le stesse persone con le quali condivideva qualche birra e tante chiacchiere davanti al bancone. E l’ardore non mancava:
“Il torneo durava un mese, ma continuava per tutto l’anno. Da tre estati di fila vinceva il Bar Lido, quindi, fatti due conti, erano tre lunghissime estati che perdevamo noi, quelli del Bar Bruna”.
Non ne potevano più degli sfottò perché in un paese “non è bello vivere da sconfitti”. Specialmente per lui. L’arrivo di Serse portò una piccola rivoluzione tattica: il Bar Bruna avrebbe giocato in maniera più “sbarazzina” perché l’obiettivo era sempre divertirsi. E così, ad appena 21 anni, Serse Cosmi sedeva sulla sua prima panchina: “C’è chi comincia dal Real Madrid o dal Milan, a me è toccato il Bar Bruna”. Ma se ognuno ha la sua storia, Serse con la sua sta proprio bene: “Tanto che quel torneo l’ho vinto. E poi rivinto anche l’anno dopo. E l’anno dopo ancora”. Tre scudetti dei bar di Pontevecchio, mica male come inizio.
Nel nome del padre
Cosmi deve tutto ad uno specchio. “Nulla atterrisce più di uno specchio una coscienza non tranquilla”, scriveva Pirandello in “Sogno (ma forse no)”. Nel 1989, sei anni dopo la laurea all’Isef, Serse insegnava educazione motoria alla scuola elementare di San Mariano, a Carciano. Al pomeriggio qualche lezione di educazione fisica qua e là e allenamenti ai ragazzi dell’Ellera. La sera toccava ai corsi di nuoto. A casa alle dieci, alle undici di sera, a volte anche a mezzanotte. Tutto per un milione e mezzo di lire al mese. Per le scuole pubbliche era uno dei tanti in attesa:
“E lo sarei ancora oggi, se una sera non fossi arrivato a casa più stanco del solito. Più stufo del solito. Più stressato, umiliato e avvilito del solito. Mi sono visto strano, – continua – avevo gli occhi rossi, stralunati. È ora di cambiare quella vita fatta di micro lavori e tanta fatica”.
Lo pensò soltanto dopo aver guardato la sua immagine riflessa allo specchio, al termine di una giornata estenuante come tante: “Devo ringraziare lo specchio del bagno di casa. Una mano o una spinta me l’ha data lui”. Voglioso di iniziare una vita diversa, Serse aprì una palestra insieme al suo amico Riccardo. Società al 50%, tanto entusiasmo e un mutuo di 30 milioni di lire. La chiamarono ‘Day by Day”, perchè “quello in fondo era anche il nostro motto”.
Lo sguardo autentico di un uomo che non ha mai rinnegato sé stesso (Ph: Claudio Villa/Getty Images)
Un anno dopo, nel 1990, l’incontro che lo avrebbe cambiato per sempre. Fuori dalla palestra lo aspettava un uomo. Era Domenico Sfrappa, dirigente della Pontevecchio, la squadra del paese. “C’è il presidente Fondacci che vuole parlarti. Abbiamo pensato a te per la prima squadra, ma non sappiamo quali sono i tuoi programmi”. Serse venne travolto da un’ondata di entusiasmo: allenare la Pontevecchio, la sua squadra del cuore (insieme al Perugia) e quella in cui da piccolo faceva da mascotte quando papà Tonino, uno degli storici dirigenti della società, si recava al campo per gli allenamenti o per delle pratiche da sbrigare.
Tonino se ne era andato quando Serse aveva 14 anni. La panchina della Pontevecchio avrebbe significato tanto. E così accettò, con una missione: riportarla in Serie D.
“Come avevo promesso a mio padre, sulla tomba”.
Sacchi o Cruyff? Meglio Omero
Omero Andreani ha trascorso metà della sua vita nella Ternana, prima da calciatore e poi da allenatore. Da vice di Corrado Viciani, ha guidato le Fere alla storica promozione in Serie A nel 1972. Andreani allenò Cosmi quando questi, a 17 anni, militava nelle giovanili rossoverdi. “Il mio primo allenatore vero, forse anche l’unico”. Per Serse era la prima vera esperienza da allenatore dopo il Bar Bruna e la juniores dell’Ellera. Cercava modelli ai quali ispirarsi. Decise semplicemente di imitare Serse Cosmi. In quel periodo gli esempi che andavano per la maggiore erano Arrigo Sacchi e Johan Cruijff. Seguendo il Milan di Sacchi, sarebbe bastato disporre la Pontevecchio con un 4-4-2 a zona prestando attenzione alle diagonali e al recupero palla con il pressing alto.
“Ma più guardavo il Milan e le squadre sacchiane e più mi sentivo attratto, legato, affascinato da un altro tipo di calcio”. Serse non accettava il fatto che stessero scomparendo i ruoli cardini del gioco: “Stavano sparendo il numero 10, il 5, il centromediano, le mezz’ali nel nome dell’integralismo tattico”.
Il segreto non era seguire la novità bensì “vivere tutte le situazioni che il nuovo stava proponendo senza abbandonare quello che il calcio di aveva dato in novanta anni”. Il modello ideale era Omero Andreani, il suo vecchio maestro: saggio e duttile. Il calcio che aveva in mente rappresentava un mix ideale tra il vecchio e il nuovo. Fu colpito da una scintilla di romanticismo.
Le urla a bordocampo di Serse Cosmi sono un patrimonio del calcio italiano
Il modulo della Pontevecchio di Cosmi sarebbe stato il 4-4-2 con il centrocampo a rombo. La difesa a quattro prevedeva che uno dei due centrali fosse pronto ad arretrare nel ruolo di libero. A centrocampo il centromediano avrebbe giocato da vertice basso, venti metri dietro al fantasista. Di lato due mezz’ali, “di quelle vere”. E poi le due punte, marchio di fabbrica che Serse si porterà dietro fino al Perugia. “Giocare in quel modo non era speculativo, anzi. Ma non lasciava neanche scoperta la difesa”. La Pontevecchio vinse due campionati consecutivi, risalendo dalla Prima Categoria fino all’Interregionale (Serie D). Missione compiuta. Nel nome di papà Tonino. Per Cosmi iniziarono ad aprirsi le porte del successo: era pronta la panchina dell’Arezzo.
Col porno si vince
All’Inferno Serse Cosmi è finito in diverse occasioni. Specialmente per la voglia di creare un gruppo unito e forte. “Ebbene sì: ho peccato. E con me hanno peccato le mie squadre”. L’idea arrivò un sabato mattina, alla vigilia di una trasferta di Interregionale. Entrò in un negozio di Perugia per comprare un film porno. L’avrebbe proposto ai suoi durante il viaggio. Dallo schermo dell’autobus spuntarono Cicciolina e Moana, (secondo la leggenda) in una delle performance più apprezzate: “Cicciolina e Moana ai mondiali”. I giocatori restarono per un attimo spiazzati, poi vinse la complicità. Un boato accolse l’inizio della proiezione, seguirono grasse risate. Per la cronaca, la Pontevecchio vinse quella partita con estrema facilità.
“Devo dire che nessun’altra mossa o idea tattica ebbe più successo”. Da allora il porno prima delle partite divenne un habitué, forse con un velo di scaramanzia. “Nello spogliatoio sono sempre stato ‘uno di loro’. Lo spogliatoio è e deve essere della squadra nella sua interezza”.
Con l’Arezzo l’esperimento non ebbe la stessa fortuna: “Le facce dei dirigenti, certe parole sussurrate nelle orecchie e sguardi inequivocabili mi costrinsero a schiacciare lo stop del videoregistratore”. Poco male, Cosmi ne pensò un’altra: “Grande cena e grande dopocena” in discoteca. L’Arezzo ottenne la promozione in C1 e sfiorò la Serie B. Perchè, in fondo, “il sesso logora chi non lo fa”.
Il Perugia di Cosmi
“Lei diventerà per il Perugia quello che è stato il mio veterinario con Tony Bin, lo ha fatto diventare uno dei più grandi”. Luciano Gaucci accolse Serse Cosmi con il solito folclore. Tony Bin era un cavallo cresciuto nella White Star, scuderia della quale Gaucci divenne proprietario nel 1980. Il patron aveva un certo fiuto per i cavalli di razza. Tony Bin fu acquistato per soli 12 milioni di lire quando era solo un puledro e rivenduto per 7 miliardi dopo 15 vittorie su 27 corse disputate. Con quella fortuna Gaucci decise di entrare nel mondo del calcio prima con la Galex e poi con il Perugia, rilevato nel 1991 per 2 miliardi. Al patron piacevano la sfide e Serse era una di queste. Fu subito intesa, perché qualcosa li univa:
“Rappresento e faccio rivivere quella che è stata la sua vita, quelli che sono stati i suoi ideali. Il dover sempre lottare, il poter arrivare esclusivamente attraverso il grande lavoro e il grande sacrificio”. Gaucci e Cosmi si assomigliavano: “Ci siamo fatti da soli e questo ci accomuna”.
L’avventura di Cosmi sulla panchina del Grifo iniziò con la sconfitta nel secondo turno di Intertoto contro lo Standard Liegi. Passare in pochi mesi dalla C1 all’Europa non era cosa da poco, ma Serse rimase colpito dal comportamento dei suoi giocatori, specie i più esperti: “Sempre in fondo al gruppo, sempre svogliati, sempre a contestare e mugugnare”. Lo spogliatoio era spaccato: da una parte i senatori, dall’altra il plotoncino di semisconosciuti arrivati in estate. Se i nuovi Liverani, Baiocco e Di Loreto erano pieni di entusiasmo per la nuova avventura, lo stesso non poteva dirsi degli altri: “I vecchi avevano proposte di mercato, speravano che quella sarebbe stata l’ultima stagione col Perugia e invece si ritrovavano dentro un progetto completamente nuovo, che non condividevano e vedevano solo come un colpo alla loro carriera”.
Con Materazzi furono subito scintille. La prima lite all’arrivo di Ahn, al momento delle presentazioni: “Radunai la squadra, Materazzi aveva giocato il primo tempo della partitella ed era già in tuta. Vidi la fascia di capitano sul braccio di Tedesco e lo presentai al coreano come il ‘capitano del Perugia’”. Materazzi non la prese bene e attaccò l’allenatore: “Mister, lei si sbaglia, non sa nemmeno chi è il capitano. Il capitano del Perugia sono io”. “No, il capitano lo decido io”, replicò Cosmi che aggiunse: “Se non ti sta bene ti puoi accomodare”. Fu un segnale forte, il rodaggio era finito: era l’inizio di una grande storia d’amore.
Serse tra la sua gente
L’eliminazione in Coppa Italia non migliorò la situazione, l’esordio in Serie A nemmeno: uno scialbo 1-1 in casa contro il Lecce. La svolta arrivò alla terza giornata. Contro il Parma di Malesani, Cosmi cambiò abito ai suoi: via il 4-4-2 a rombo di omeriana memoria e spazio al 3-5-2. In difesa, Monaco e Rivalta giocavano ai lati di Materazzi. A centrocampo qualità e dinamismo: Liverani in cabina di regia, con Tedesco e Baiocco mezz’ali. Sulle fasce, Zè Maria a destra e Pieri a sinistra davano ampiezza alla manovra. In attacco due punte abili ad attaccare la profondità: Vryzas e Bucchi. La mossa di Cosmi funzionò e gli umbri si ritrovarono sul 3-0 dopo appena 20 minuti. Tre zampate da calcio piazzato: prima Bucchi, poi Materazzi e infine Tedesco. Finì 3-1. Il Curi battezzò la prima vittoria dell’era Cosmi.
I riflettori del grande calcio puntarono sull’uomo del fiume. In panchina si agitava, urlava, sembrava posseduto dal demone del calcio. Indossava un elegante completo in giacca e cravatta e un cappellino che sarebbe diventato iconico. “L’ho sempre indossato al di là dell’aspetto fisico come lei potrebbe pensare (per nascondere la calvizie, ndr)”, rispose nel post partita a Giorgio Tosatti che, durante La Domenica Sportiva, lo incalzava sul perché di quella scelta al tempo inusuale.
Poi chiosò: “In molti pensavano che fossimo una squadra Brancaleone”. Da quella notte la storia cambiò.
Il gruppo si ricompattò e il Perugia iniziava a far intravedere un gioco frizzante e divertente. Il 3-5-2 si dimostrò un vestito cucito su misura per il Grifone. Il calcio proposto da Cosmi era piuttosto verticale: gli esterni davano ampiezza e rifinivano l’azione con cross a premiare gli attaccanti o gli inserimenti dei centrocampisti. La manovra si sviluppava dai piedi di Liverani, che gli scettici avevano etichettato come lento e macchinoso (dati i suoi trascorsi da trequartista) ma che al Curi trovò la ribalta nei panni di regista. Materazzi divenne il trascinatore. A fine campionato avrebbe fatto segnare il nuovo record di gol per un difensore in una singola stagione: ben 12, meglio di Passarella e Facchetti.
La scintilla d’amore tra Serse e il Perugia scoccò definitivamente il 23 dicembre 2000. Gli umbri batterono il Milan conquistando la prima vittoria a San Siro della loro storia. Per Serse è il coronamento di un cammino lungo venti anni: “Volavo anch’io quel giorno a San Siro quando l’arbitro ha fischiato la fine della partita che resterà per sempre dentro di me”. Lo accompagnava una “pericolosa” sensazione di onnipotenza che mai aveva avuto prima. Per l’uomo del fiume non c’era stadio più grandioso di San Siro e “grandioso è tutto quello che succede lì”. Segnò l’ex Sudati, poi arrivò il pareggio di Shevchenko. Nella ripreso l’esterno mancino di Vryzas portò il Grifo in paradiso. Sembrava incredibile ma l’uomo di Pontevecchio era uscito vincitore da San Siro. Come un gladiatore indenne al centro dell’arena.
L’apice
Il successo di Serse Cosmi andava oltre il campo. L’uomo del fiume divenne presto un personaggio televisivo: il carattere vulcanico, lo stile eccentrico e l’iconico cappellino riempirono di goliardia i salotti pallonari di tutta Italia. Gran parte della risonanza mediatica nasceva dall’imitazione di Maurizio Crozza a ‘Mai Dire Gol’. Il motto “ti spezzo la gambina” o “se me sbagli er crossee” si trasformarono in etichette per il tecnico di Ponte San Giovanni, che in una puntata di ‘Mai Dire’ fece persino comparsa accanto al suo imitatore. “Il problema è stato che i miei risultati frutto di scelte tattiche considerate sempre sottaciuti. Si preferiva dire che ero l’allenatore che si incazzava”, racconterà anni avanti in un’intervista a Il Fatto Quotidiano. Un marchio che Serse ha provato a togliersi di dosso con il passare del tempo, senza però riuscirci:
“Quando i miei ragazzi vincevano si diceva che era merito della mia grinta, quando si perdeva era colpa della mia ira. Ho tentato di liberarmi da questi cliché, in seguito ho capito che era meglio lasciar perdere anche se adesso posso ammettere che mi ha dato molto fastidio”.
Il campionato 2000/2001 si concluse con il Perugia all’undicesimo posto. 42 punti: “32 in più rispetto a quelli che i “Signori del pallone” avevano pronosticato”. La stagione migliore di Cosmi fu però la successiva, quando gli umbri si classificarono ottavi. Nonostante le partenze di Materazzi (all’Inter) e Liverani (alla Lazio), il Grifo consolidò il ruolo di “prima tra le provinciali”, arrivando persino ad insidiare il regno delle sette sorelle del calcio italiano.
Dal mercato Cosmi pescò Rezai, primo iraniano in A, il giovane Fabio Bazzani e Fabio Grosso. Grosso, prelevato dal Chieti, in Serie C2, era un trequartista piuttosto compassato. “Non avrebbe fatto un minuto in Serie A in quel ruolo”, commentò Cosmi. Arrivò allora la trovata: Grosso su dirottato sulla fascia sinistra dove avrebbe garantito qualità nei cross e nelle rifiniture. In mediana sarebbe toccano ai giovani Blasi e Gatti non far rimpiangere Liverani. Il blocco della squadra che aveva stupito l’anno precedente fu confermato a furor di popolo. Insieme a Cosmi, il quale rinnovò il contratto con il Grifo per altre quattro stagioni. Aveva coronato l’impresa più ardua: conquistare la fiducia di Luciano Gaucci.
La terza stagione certificò lo status degli umbri. Non più meteora ma solida realtà. Ad aggiungere gol e qualità offensive arrivò Fabrizio Miccoli, prelevato in prestito dalla Juventus. La creatura di Cosmi sembrava non smettere mai di stupire. Il 2003/2004 era già alle porte: prima tappa l’Intertoto. Cosmi era pronto a riaffacciarsi nel panorama continentale. Era soltanto l’inizio della fine.
La fine di un’era
Mancavano meno di dieci minuti al termine dello spareggio che valeva la Serie A. La terzultima di A contro la sesta classificata in Serie B. Un unicum nel calcio italiano per via della riforma che porterà il massimo campionato a 20 squadre. La Fiorentina cercava la promozione dopo il fallimento e la ripartenza dalla C2. Di contro, il Perugia rincorreva il miracolo. Al minuto 36, con i viola in vantaggio grazie alla rete di Fantini, gli umbri attaccavano a testa bassa. La palla scorreva lentamente da sinistra verso destra passando per i piedi di Fabiano, Obodo, Di Francesco e Do Prado. Il brasiliano ricevette defilato al limite dell’area: puntò un avversario, sembrava preparare il cross. Sparò invece un missile che sorprese l’incerto Cejas. 1-1 ma non bastava. Al Perugia serviva un altro gol per ribaltare lo 0-1 del Curi.
Dalla panchina Serse Cosmi allargò le braccia e tirò un urlo ai suoi: “Mancano dieci minuti!”. Non era il solito Cosmi. La visiera del cappellino nascondeva uno sguardo insolito. Camminava avanti e indietro abbassando gli occhi sul prato. Cercava risposte tra i fili d’erba. Non le trovava. Il Perugia era ad un passo dalla B. Cosmi non era come quegli allenatori che abbandonavano la nave prevedendo il naufragio. Per l’uomo del fiume non era mai abbastanza. Indossava imperterrito gli abiti del condottiero fino all’ultima battaglia. Quella di Firenze era la sua Waterloo.
Poco meno di un anno prima gli umbri avevano festeggiato una storica qualificazione in Coppa Uefa arrivata via Intertoto, torneo il più delle volte snobbato dalle squadre italiane ma al quale Gaucci teneva moltissimo. La cavalcata del Grifone in Intertoto si concluse con il doppio trionfo sul Wolfsburg del baby prodigio Andrés D’Alessandro. Sotto i riflettori continentali il Perugia non voleva sfigurare. Ma quello si rivelò essere un errore fatale. Complici le fatiche di coppa, il Grifo approcciò al campionato in maniera disastrosa. La prima vittoria arrivò addirittura il 22 febbraio a Reggio Calabria. In coppa il Perugia aveva eliminato il Dundee e l’Aris Salonicco nei primi due turni, qualificandosi per i sedicesimi dove avrebbe sfidato il PSV Eindhoven.
Al Curi gli olandesi di Mateja Kezman, e di un giovanissimo Arjen Robben, non riuscirono a sfondare e alla fine fu uno 0-0 che sorrise più agli umbri. Al ritorno al Philips Stadion non ci fu storia: il PSV ebbe vita facile e si sbarazzò degli uomini di Cosmi con un eloquente 3-0. La marcatura di Zè Maria nel finale servì soltanto a rendere il passivo meno pesante. Il Grifo dovette gettarsi a capofitto nella delicata lotta alla salvezza ma, nonostante un finale di campionato incoraggiante, non riuscì ad evitare lo spareggio salvezza. Il gol di Do Prado alimentò soltanto le illusioni. Al triplice fischio il Perugia era in Serie B. La giostra chiuse per sempre.
Itaca
Dopo lo spareggio con la Fiorentina, e la fine dell’era Cosmi e Gaucci, l’uomo del fiume iniziò la sua Odissea. Prima tappa Genoa. Il tecnico di Ponte San Giovanni vinse il campionato di B riportando l’altro Grifone in A dieci anni dopo l’ultima volta. Poi il colpo di scena: ai rossoblù fu revocata la promozione per tentato illecito sportivo. Il Genoa si ritrovò in Serie C e Serse prese la via di Udine, dove guidò l’Udinese nella prima e storica partecipazione in Champions League. Dopo l’impresa ai preliminari contro lo Sporting Lisbona, l’avventura dei friulani si interruppe nei gironi eliminatori sotto i colpi del Barcellona futuro campione d’Europa. Cosmi fu esonerato a metà stagione.
Da allora Cosmi iniziò un lungo peregrinare: Brescia, Livorno, Palermo, Lecce, Siena, Pescara, Trapani, Ascoli e Venezia. Esperienze anonime, eccezion fatta per la finale dei playoff di Serie B persa dal suo Trapani. I siciliani erano ad un passo dalla storia ma il Pescara dell’ex allievo Oddo spezzò il sogno. A fine partita Serse scoppiò in lacrime stremato:
“Era sfinimento fisico, un enorme dispiacere per la gente di Trapani. Non c’era dolore in quelle lacrime”.
Un lungo viaggio terminato il 4 gennaio 2020, il giorno in cui Cosmi ritrovò la sua Itaca: l’uomo del fiume tornava a sedersi sulla panchina del Perugia. Si presentò cambiato, nel corpo ma non nella mente: la barba bianca come retaggio del tempo, la montatura tonda e spessa degli occhiali ad imprimere un’aria di saggezza. La voce roca tremolante l’elemento tangibile di un’emozione che lo travolge. Di nuovo nel suo stadio, in mezzo al suo popolo. Le prime parole come le ultime: “Senza offesa per nessuno ma questa è casa mia”.
L’illusione di un amore perduto
Un amore che sboccia in un pomeriggio d’inverno prima della pandemia, col sole tiepido a baciare le colline. Ma è soltanto un ritorno di fiamma. La società lo esonera 17 partite dopo, nel mezzo di un’assolata giornata estiva. Il Perugia, precipitato in piena zona playout sotto la sua gestione, non è più un’oasi di felicità. Nel romanzo “La spiaggia” Cesare Pavese scriveva: “Niente è più inabitabile di un posto dove siamo stati felici”. E così Serse saluta. Stavolta per sempre. Il suo ritorno è stato soltanto una “suggestione”:
“Compio non l’ultimo, ma l’ennesimo atto d’amore per il Perugia e per la città tutta: tacere”.
Ha scelto lo spartito del silenzio come canto d’addio. Perchè davanti ad un amore così grande ogni parola sarebbe superflua. L’uomo del fiume torna a passeggiare sulle rive del Tevere travolto dai ricordi. Ascolta di nuovo il mormorio amico delle acque. Solo quel suono riesce a dare un senso al suo silenzio.