Forse non il migliore sul piano tecnico ma comunque il cannoniere italiano più prolifico. Con 290 reti nella massima divisione è Silvio Piola, bandiera della Lazio ma anche della Juventus e del Novara in un ventennio di grandezza assoluta, il bomber per antonomasia del nostro calcio. La sua è una storia che inizia nella Provincia di Pavia, quasi al confine con il Piemonte, il 29 settembre 1913 e termina il 4 ottobre del 1996. Il ritratto di un campione che è l’antitesi esatta del divo.
Vita da atleta, mai eccessi (a meno che non vogliamo considerare tali la caccia e la pesca), non una parola cattiva contro colleghi o addetti ai lavori. Sana rivalità con Meazza. Una signorilità nei modi che ha fatto idealmente a pugni con una volontà di ferro: quella di emergere, di segnare sempre e comunque. Di far valere mezzi fisici e tecnici. Di alzare al cielo Coppe e vincere classifiche, i traguardi che un destino da privilegiato gli ha consentito di raggiungere. Silvio Piola, una gloria del calcio italiano da non consegnare all’oblio, mai. Figuriamoci nel giorno dell’ipotetico compleanno #110.
RACCOMANDATO A CHI?
Cos’hanno in comune Silvio Berlusconi, Andrij Shevchenko e Silvio Gioacchino Italo Piola? Hanno tutti dato un contributo importante al calcio italiano e sono nati tutti e tre nello stesso giorno, in anni diversi. Il futuro campione del Mondo con la maglia Azzurra nasce a Robbio, il 29 settembre 1913. La piola in dialetto piemontese è l’osteria, il bar, e quel cognome denota origini umili ma molto fiere, radicate nel territorio. In realtà i familiari, entrambi di Vercelli, sono commercianti di tessuti abituati a girare l’Italia del nord per motivi di lavoro. E quando si spostano, si spostano tutti assieme.
«Silvio Piola rappresentava l’antidivo. Non beveva, non fumava, non andava a donne, non amava comparire nelle pubblicità».
John Foot, storico inglese e autore di ‘Calcio, 1898-2010. Storia dello sport che ha fatto l’Italia’
La famiglia Piola ha una prossimità con il calcio che troverà nel più giovane dei figli la massima espressione. Serafino Piola (classe 1909, morto nel 2001) è un buon calciatore, limitato da problemi di vista che lo costringono a portare gli occhiali e ad abbandonare presto sogni di gloria. Ma suo fratello Silvio, di quattro anni più giovane, sembra altrettanto bravo. Forse anche più di Serafino. Meno tecnico ma più concreto sotto porta. Per la Pro Vercelli vale la pena mettere alla prova quel giovanissimo, che parla poco ma che in campo si fa rispettare fin dalla prima apparizione.
Qualcuno mormora, si dice a mezza bocca che sia raccomandato. «Ma chi, il Silvio? Ma no dai,l’è in gamba».
Suo cugino Paolino fa già parte della rosa e lo zio, Giuseppe Cavanna, è il portiere della prima squadra (sarà campione del Mondo 1934, come secondo di Giampiero Combi). Ma in campo non vanno mica i parenti al posto suo e il valore, se c’è, si vedrà. Infatti si vede subito. A sedici anni, 16 febbraio 1930, “il raccomandato” esordisce in serie A. La partita è Bologna-Pro Vercelli e finisce 2-2. I piemontesi escono indenni dalla trasferta emiliana anche grazie a un assist decisivo del ragazzino. Il presidente Secondo Ressia rimane impressionato: «Questo ragazzo diventerà il centravanti che Vercelli non ha mai avuto». All’inizio della stagione successiva zio Giuseppe va al Napoli, nipote Silvio resta in Piemonte.
IL GOL DEL DESTINO
È difficile stabilire se sia l’ironia della sorte o se non sia piuttosto la sorte dell’ironia a menare le danze dei fatti. 1930, anno VIII “a fascibus renovatis”. Il giorno è quello dei morti. Al Foro Boario di Vercelli la squadra di casa le dà di santa ragione alla Lazio. Finisce 3-0 e il diciassettenne Piola apre le marcature, segnando il suo primo gol in serie A. I gerarchi di Roma restano impressionati, non tanto dall’ampiezza della sconfitta, che ci può anche stare, quanto dalla sicurezza nei propri mezzi di un attaccante che non ha ancora terminato l’età dello sviluppo. Ed è con romana (pardon, laziale) volontà che il presidente biancoceleste Vaccaro si attiva per portare il giovane Silvio nella Capitale. A Roma è nata da poco un’altra squadra e la concorrenza va affrontata con vigore.
Hanno inizio una trattativa e un braccio di ferro fra le società che dureranno anni. In quell’Italia Giorgio Vaccaro è un generale di potere, ma anche Ressia è un osso duro. La trattativa va a buon fine nel 1934. Il nuovo acquisto debutta il 30 settembre, il giorno dopo il suo ventunesimo compleanno. In quella prima giornata di campionato lui e il fresco campione del Mondo Anfilogino Guarisi (oriundo brasiliano conosciuto come Filò) insieme distruggono la rete della porta del Livorno. Finisce 6-1 per la Lazio e Piola inizia l’avventura a Roma con gol e conclusioni di alta scuola, anche se spostato nel ruolo di mezzala per motivi contingenti.
UN SALTO DI QUALITÀ
Sono anni in cui la Lazio mette a punto una squadra concorrenziale per il girone unico, ma anche per le competizioni internazionali. Intorno alla grinta feroce del suo centrattacco (si diceva così, allora) si compone un quartetto avanzato di tutto rispetto. Gli giocano a sostegno Riccardi, Busani, Camolese e Costa. Nella stagione 1936-1937 la Lazio sta lottando per lo scudetto, vince il platonico titolo d’inverno ma alla fine arriva seconda, alle spalle del Bologna. Piola vince per la prima volta la classifica cannonieri e si fa conoscere anche al di là delle Alpi. Con undici gol in sei partite porta la Lazio in finale di Coppa dell’Europa Centrale, una sorta di Champions League “d’antan”.
Il cammino della squadra romana termina nel doppio confronto di finale con gli ungheresi del Ferencváros. Ma il salto di qualità, individuale e collettivo, è stato fatto. Da un paio d’anni si sono aperte per Silvio Piola anche le porte della Nazionale ed è inevitabile che sia così. Il 24 marzo 1935 l’Italia campione del Mondo va a Vienna. Contro l’Austria si gioca per la Coppa Internazionale, progenitrice del Campionato europeo per Nazioni.
Ci vuole poco per capire di che pasta sia fatto l’attaccante all’esordio in azzurro e per i nostri confinanti geografici non è una scoperta piacevole. 0-2, doppietta di Piola e tutti a casa. Chi a festeggiare, chi no. Il 24 novembre dello stesso anno la nazionale allenata da Vittorio Pozzo fa suo anche quel trofeo. A Milano, nell’ultima partita, Italia e Ungheria pareggiano 2-2. Quel giorno il numero nove della Lazio non è in campo ma i suoi gol, la strada verso la vittoria l’avevano già spianata.
CAMPIONE DEL MONDO
All’inizio Pozzo era diffidente sulle qualità caratteriali e tecniche di Piola, ora ne è conquistato. Avere trovato una punta alta di statura, forte fisicamente e di grandi capacità realizzative gli permette di far giocare Meazza qualche metro dietro. Una mossa che non tutti colgono al volo ma che sarà decisiva per vincere il Mondiale 1938, in Francia. Durante l’edizione francese Piola segna cinque reti complessive e diventa una star mondiale. Prima di arretrare anche lui il raggio d’azione nel corso degli anni, per favorire l’inserimento in attacco di Boniperti, mette a segno con la Nazionaleun numero di reti che nessuno può dire di avere segnato fino a quel momento: 30 in 34 convocazioni.
Soltanto Gigi Riva farà di meglio (35 in 42 partite), ma il record del centravanti della Lazio resiste per decenni.
Anche i numeri realizzativi in biancoceleste sono eccellenti. In 243 presenze, ben ripatite fra campionato, coppa nazionale e competizioni internazionali, il bomber va a segno 159 volte. In anni in cui le partite duravano ancora 90 minuti e l’autogol era ancora autogol, non rete dell’attaccante. Ma prima o poi tutto finisce, anche il rapporto con la Capitale si esaurisce, non prima però di aver vinto il secondo titolo di capocannoniere nel 1942-1943. Tra la primavera e l’estate del 1943, in anni in cui il calcio serve per far dimenticare almeno per un’ora e mezza gli orrori della guerra, Piola disputa la Coppa Luigi Barbesino con una formazione denominata Presidio e composta da calciatori di Roma e Lazio assemblati per l’occasione.
JUVENTUS, POI NOVARA
Con la fine della guerra e dopo una parentesi con il Torino FIAT nel campionato Alta Italia, Silvio Piola passa alla Juve. Ha passato la trentina e qualcuno storce il naso. Due stagioni, molti gol, nessun titolo. Troppo forte in quel momento, il Grande Torino. Nel 1947 Piola accetta di giocare in serie B. Ha 34 anni e quella sembra a tutti una scelta saggia, il ritorno verso casa prima del “buen retiro”. Ma non è così. Con lui il Novara torna subito in serie A e vi resta per molti anni ancora. Seguono sei stagioni in cui il “vecchietto” va in gol altre 70 volte (+ altre 16 realizzazioni, considerando l’anno in serie B).
«Il calcio si evolve, però alla base rimangono due qualità fondamentali: i “piedi buoni” e il cervello. Anche il più bravo allenatore di questa terra senza giocatori con queste caratteristiche può chiudere bottega».
Silvio Piola, intervista di Roberto Eynard, La Stampa, 23 settembre 1993
Nel 1952 avviene l’incredibile: alla soglia dei fatidici “anta”, Piola viene richiamato in Nazionale. A Firenze, Italia e Inghilterra giocano un’amichevole e quella partita sembra più un pretesto per celebrare un grandissimo campione che altro. Nel 1954, perfino lui dice basta. Il primo grande Highlander del calcio italiano si dedicherà a tempo pieno alle altre passioni: la caccia, la pesca e la famiglia, ma non contemporaneamente. In maglia biancoceleste, soltanto Ciro Immobile saprà fare meglio in termini numerici, ma per superare quota 159 ci vorranno quasi ottant’anni.
Silvio Piola muore il 4 ottobre 1996, pochi giorni dopo aver compiuto 83 anni. Il nome è destinato all’eternità sportiva e finisce nella Hall of Fame del calcio italiano, anche senza avere mai vinto uno scudetto in carriera. Oggi lo stadio di Novara e quello di Vercelli gli sono entrambi intitolati. Altro record che solo uno come lui può vantare. Due stadi con il proprio nome, mica male per un “raccomandato”.