Il riscatto tramite il calcio, la notorietà planetaria grazie a Italia ’90: ora la battaglia più dura.
In questi giorni l’Italia (e non solo) sta trepidando per lui. Le condizioni di salute destano apprensione, sebbene la famiglia cerchi di rassicurare tutti. Sono anni che il bomber palermitano combatte con un brutto male, e lo fa con la grinta dei tempi belli, con il coraggio di chi non si è mai tirato indietro di fronte a nulla. Una vita al massimo, una vita mai semplice. Il riscatto tramite il calcio, la notorietà planetaria grazie a Italia ’90. All’improvviso, uno sconosciuto diventa re dei marcatori. Il punto più alto di una carriera altalenante. Come la vita di Salvatore Schillaci in arte Totò, per l’appunto.
IL SIGNOR NESSUNO
Sabato 9 giugno 1990, Stadio Olimpico di Roma. Campionati mondiali. La partita d’esordio degli azzurri è Italia-Austria. La nazionale padrona di casa non riesce a passare nonostante una serie di occasioni a disposizione. Nella parte finale dell’incontro il tecnico Azeglio Vicini si gioca il tutto per tutto. Minuto 75, esce Carnevale entra Schillaci. C’è un quarto d’ora per cercare di vincere una partita che appare stregata. Per quelli che seguono il calcio una volta ogni quattro anni, è entrato in campo il “signor nessuno” o giù di lì. Minuto 79, ennesimo assalto alla porta avversaria.
Dalla tre quarti austriaca Donadoni lancia Vialli, che si invola sulla fascia destra. L’attaccante va sul fondo e crossa al centro. Irrompe il nuovo entrato, la prende di testa e in una frazione di secondo lo stadio esplode. Il signor nessuno ha appena portato in vantaggio l’Italia. Da quel momento tutto il mondo conoscerà Salvatore Schillaci. In quattro minuti è nata una stella in mondovisione. Schillaci non siederà più in panchina e con 6 reti in 7 partite sarà il capocannoniere assoluto di Italia ’90.
IL CALCIO PER EVADERE
Per molti quel ragazzo dalla faccia comune, non particolarmente alto né prestante ma capace di sopperire con una voglia di far gol fuori dall’ordinario, diventa il volto nuovo del calcio italiano. Palermitano doc, Salvatore Schillaci nasce il 1° dicembre 1964. La zona d’origine è il quartiere Cep, non esattamente la zona in cui risiede la Palermo-bene.
Il Cep è uno di quei posti in cui la nostalgia è la malattia dei ricchi e la vita si guadagna giorno per giorno. In certe zone le cose della vita assumono sfumature tali da rendere il grigio un colore fin troppo netto. Si vive come si può e il calcio è un modo per venir fuori da lì. Fin da ragazzino Schillaci dimostra attitudine al calcio. Non avrà piedi fatati ma istinto e determinazione lo mandano spesso in gol. Per vivere aggiusta le gomme delle macchine. Per i maligni, addirittura le ruba.
«Da noi, per emergere, devi avere la fortuna che qualcuno venga a scovarti. Non ci sono scuole calcio, i club investono poco nel settore giovanile. Ho conosciuto tanti ragazzi che potenzialmente sarebbero stati dei talenti e che si sono scoraggiati. Io ce l’ho fatta perché ho avuto il coraggio, magari l’incoscienza, di puntare tutto sul calcio: dopo un anno e mezzo che aggiustavo le gomme, e dopo, sfinito, mi andavo ad allenare, ho deciso che dovevo scegliere. E ho scelto il calcio, dandomi una scadenza. Se non avessi sfondato mi sarei rimesso a bottega».
ZEMAN E SCOGLIO LO SANNO
La grinta c’è, il ragazzo segna, ma per farcela bisogna bussare alle porte giuste. A forza di bussare, una porta si apre. Il Messina mette sotto contratto un ragazzo appena maggiorenne che parla poco ma che con lo sguardo già dice tutto. Schillaci ha fame di giocare e di emergere. Presso la squadra dello Stretto il giovane attaccante conosce in tempi diversi due allenatori che ne equilibreranno il carattere fornendo disciplina tattica a chi in campo agisce di puro istinto: Franco Scoglio e Zdenek Zeman.
Dopo sette stagioni al Messina, 61 saranno le realizzazioni di Schillaci in 219 partite, suddivise fra serie B, C1 e C2. Poi, nell’estate del 1989, si accorge di lui la Juventus, quella stessa Juventus che anni prima non gli aveva concesso neppure un provino. Esordisce in A il 27 agosto 1989: Juventus – Bologna 1-1. Il primo anno bianconero è ottimo: con Dino Zoff in panchina e in coppia con Casiraghi all’attacco gioca 30 partite, fa 15 gol e nella stessa stagione conquista Coppa Italia e Coppa Uefa.
Un’annata che gli vale un posto tra i ventidue azzurri che andranno ai mondiali del 1990.
«Speravo di giocare qualche minuto – racconterà il diretto interessato – ero già al settimo cielo per la convocazione in Nazionale. Certo, in allenamento davo tutto me stesso per convincere l’allenatore, ma nemmeno un folle avrebbe mai potuto immaginare cosa mi stava per accadere. Ci sono periodi nella vita di calciatore nei quali ti riesce tutto. Basta che respiri e la metti dentro. Per me questo stato di grazia è coinciso con quel campionato del mondo. Vuol dire che qualcuno, da lassù, ha deciso che Totò Schillaci dovesse diventare l’eroe di Italia ’90. Peccato che poi si sia distratto durante la semifinale con l’Argentina. Una disdetta: abbiamo preso solo un gol in quell’edizione dei mondiali, e quel gol ci ha condannati».
IL PESO DELLA NOTORIETA’
Dopo Italia ‘90 non si parla che di lui. Viene nominato Cavaliere della Repubblica. Gli cade addosso una notorietà che probabilmente non corrisponde alla tenuta delle sue spalle. Il contraccolpo c’è e la flessione di rendimento è inevitabile. Non sfrutta più l’effetto sorpresa, Schillaci. Tutti gli occhi sono su di lui e i cori da stadio delle tifoserie avversarie non gli risparmiano nulla. Nelle due stagioni successive segna poco.
Nel 90-91 e nel 91-92 segna metà dei gol della stagione d’esordio e la critica lo stronca con la stessa facilità con la quale lo aveva elevato a re del mondo.
Ha problemi con la zona di Maifredi (e non sarà l’unico) ma nemmeno Trapattoni riuscirà a rigenerarlo. Al punto che nella primavera del 1992 tenta il grande rilancio con la maglia dell’Inter. Ma non è più lo Schillaci che con lo sguardo spiritato aveva fatto sognare gli italiani. Gli stessi tifosi nerazzurri capiranno presto che non è lui la soluzione allo strapotere del Milan. Vince la Coppa Uefa nel 1994, ma non basta. In effetti, undici gol in due anni non sono un bottino invidiabile e lo stesso Totò vuol cambiare aria ancora una volta. S’impone una scelta radicale, dovesse essere necessario ripartire da zero. L’occasione arriva quando a cercarlo è una squadra giapponese, il Jùbilo Iwata.
«Avevo 29 anni, alle spalle una stagione difficile con l’Inter, decisi di affrontare una nuova esperienza che ricordo con piacere. Ho perfino imparato qualche parola di giapponese e ho conosciuto campioni come Dunga e Vanenburg che giocavano con me al Jùbilo Ywata. Lo so, giocando all’estero sono uscito fuori dal giro. Ma non sono mai stato un personaggio troppo amato nel mondo del calcio, difficilmente una grande squadra mi avrebbe offerto quanto ho ottenuto nel Sol Levante. Forse avrei potuto fare un paio di stagioni al Palermo, il sogno della mia vita che non ho mai potuto coronare. Qualche anno fa ho pure provato a comprarmela, la società, ma non se n’è fatto nulla. Si vede che è destino: ho fatto sognare una nazione ma nella mia città non ce l’ho fatta a sfondare. Pazienza».
L’AMBASCIATORE NEL SOL LEVANTE
La scelta di cambiare realtà si rivelerà indovinata. Il pubblico giapponese identifica ancora Totò Schillaci con l’eroe di Italia ’90 e gli tributa grande affetto. Per rendergli più confortevole il soggiorno, i giapponesi non badano a spese e lo coprono di attenzioni, provvedendo a fornirgli un interprete personale a disposizione 24 ore su 24, un autista, una casa favolosa e tutto ciò che si rende necessario per tenere fuori dalla porta l’eventuale nostalgia dell’Italia.
Quattro stagioni, 56 gol in 78 partite. Primo calciatore italiano a militare nel campionato giapponese. Si ritira nel 1999 dopo un infortunio che lo tiene lontano dai campi di gioco già dal 1997, anno in cui vince la J-League, la serie A nipponica.
IL RITORNO IN PATRIA
Prima che negli ultimi anni la malattia sia resa nota sono poche le notizie che lo riguardano dopo il ritiro. Dal 2000 Schillaci gestisce a Palermo il centro sportivo per ragazzi Louis Ribolla ed è proprietario dell’US Palermo, squadra che negli anni ha militato nelle categorie calcistiche regionali. Alle elezioni amministrative del 2001 si candida a consigliere comunale della sua città con Forza Italia: viene eletto ottenendo circa 2.000 voti ma, dichiaratosi presto deluso dalla politica, si dimette dopo due anni. Ha poi partecipato al reality show L’isola dei famosi, arrivando terzo.
La passione principale rimane comunque il calcio e una cosa è certa: se i ragazzi del Ribolla avranno assorbito anche solo metà della grinta del loro mentore, allora da Palermo giungerà ancora qualche piacevole novità per il calcio italiano.
In tempi più recenti Totò Schillaci è associato suo malgrado a un fatto di cronaca importante. L’ex bomber è in cura presso la clinica oncologica La Maddalena quando la mattina del 16 gennaio 2023, viene arrestato il boss mafioso Matteo Messina Denaro.
«Erano le 8.15 del mattino – dirà lui – e aspettavo la mia visita di controllo, perché lì sono in cura. Avevo appena finito la colazione al bar, in un attimo mi sono ritrovato circondato da persone incappucciate con le armi spianate. Ho pensato a un attentato. Poi i carabinieri si sono qualificati, ma per un attimo io e quelli intorno a me ci siamo spaventati, c’era confusione. Una persona come Messina Denaro che circola tranquillamente per la città e va in clinica come un cittadino qualsiasi dà da pensare. […] Adoro Palermo e mi dà molto fastidio vederla associata solo alla criminalità, perché offre tante cose belle. Bisogna investire sui quartieri, questo sì, togliendo i giovani dalle strade. Ho rilevato questo centro sportivo, il Louis Ribolla, in una zona popolare, proprio per restituire qualcosa di quanto mi è stato dato dalla città».
Se il fato vorrà, le strade del Palermo Calcio e di Salvatore Schillaci un giorno potranno finalmente incontrarsi, così, come tutti ci auguriamo, a dicembre prossimo l’eroe di Italia ’90 compirà 60 anni.