Bellingham è l'evoluzione finale del centrocampista inglese box-to-box.
Avevamo definitoottimistiche le affermazioni di Roberto Mancini di qualche mese fa, quando aveva parlato di Jude Bellingham non come una luminosa eccezione del calcio mondiale (ed inglese, nello specifico), ma come una specie di prodotto da laboratorio: «I Bellingham li abbiamo anche noi, ce ne sono almeno 4-5 per qualità e per livello. Senza fare nomi. Ce ne abbiamo di Bellingham ma gli altri hanno un approccio diverso, li fanno giocare. Se giocano, si vede». A distanza di qualche mese, ci sentiamo in dovere di cambiare aggettivo: le affermazioni del Mancio non erano ottimistiche, ma folli.
La verità è che Jude Bellingham è un calciatore senza paragoni possibili nel mondo, figuriamoci con i talenti (o presunti tali) del nostro calcio. Bellingham non è solo un giocatore forte, forte quindi nel senso tecnico e tattico, ma prima di tutto è un uomo formato e compiuto ad appena 20 anni. Gioca nel Real Madrid, ma si comporta come se giocasse ancora nei paludosi campi di Birmingham. E in effetti Bellingham era dotato sin da ragazzino di testa e talento, due elementi condivisi da chiunque lo abbia conosciuto in giovane età.
Nato a Stourbridge, West Midlands, il 29 giugno del 2003, da padre inglese e madre africana, la passione per il calcio al piccolo Jude viene subito trasmessa dalla figura paterna: Mark Bellingham infatti, di professione poliziotto, giocò per molti anni nelle serie dilettantistiche del Paese come centravanti, realizzando più di 700 gol in carriera. Prima di tutto però suo papà Mark gli infuse quella fede che – parola di Di Canio – solo in Inghilterra è davvero possibile tramandare di padre in figlio: nel caso specifico, per la squadra della sua città, il Birmingham City.
Jude Bellingham: ragazzo di Birmingham
In questa squadra Bellingham muoverà i primi passi da calciatore, entrando nel vivaio a 7 anni ed esordendo a 16 anni e 38 giorni, il 6 agosto 2019, da titolare in una partita di Coppa di Lega contro il Portsmouth, match perso dal Birmingham per 3 a 0 ma in cui Jude venne giudicato come il migliore in campo dei suoi: inutile dire che quello fu un record assoluto per il club, con il neo 16enne capace di battere il precedente primato di Trevor Francis (che esordì a 16 anni e 139 giorni) nel 1970, mica uno qualunque insomma.
Bellingham lo sa, e infatti dopo quella partita dichiara: “Birmingham è il club della mia infanzia, e lui è stato il più grande giocatore del club. Era il modello perfetto per me. Andare a battere quel record è un qualcosa di enorme per me. Non potrò mai descrivere quanto significhi per me e la mia famiglia”.
Il 31 agosto 2019, a 16 anni e 63 giorni, Jude fa il suo esordio in Championship (la Serie B inglese) contro lo Stoke City, e va subito a segno (altro record). Gioca anche la partita successiva contro il Charlton e mette a referto un altro gol: da quel momento in poi non si muoverà più dal campo, giocando tutte le restanti partite della stagione del Birmingham, che a fine anno chiuderà con un mediocre 20esimo posto, salvandosi dalla retrocessione solo nelle ultimissime giornate. L’unica nota lieta di una stagione anonima sarà proprio il rendimento eccezionale del teenager, che a fine annata verrà premiato come miglior giovane del campionato.
“Non ero sicuro di come avrebbe affrontato la cosa un giovane come lui, aveva pur sempre 16 anni. Ho pensato che avrebbe avuto bisogno di tempo per adattarsi vista l’età, e invece è stato tutto l’opposto. Fin dal primo giorno si è comportato come un professionista esemplare, si capiva subito che era speciale”: così Pep Clotet, l’allenatore che lo ha fatto esordire tra i professionisti, al termine di quella stagione.
“Non è solo una questione di qualità, ma si tratta di avere quel fuoco nello stomaco e quella voglia di distinguersi indipendentemente dalla tua età. Lo volevo più di ogni altra cosa. L’unico obiettivo che avevo era fare bene con il Birmingham City, entrare in prima squadra e continuare a giocare bene”: sembrano parole di un veterano ma sono quelle di un ragazzino di 16 anni. “Debuttare e stabilire un record è facile, ma andare avanti e avere un impatto importante per le sorti dei tuoi club è tutta un’altra cosa”. Riteniamo che sia già tutto qui. Bellingham non è solo una stella, ma un ragazzo con un sogno e la testa giusta per poterlo raggiungere.
Alle pendici del Muro Giallo
Bellingham non ha avuto paura di cambiare, anche se giovanissimo. La dirigenza del Borussia Dortmund sborsa per lui 30 milioni di €, facendo di lui il minorenne più pagato nella storia del calcio. Un inglese che sceglie di andare a giocare all’estero fa sempre scalpore da quelle parti, specie se si è considerati nell’alveo dei predestinati, ma Bellingham non si cura della narrazione: “non appena ho lasciato l’Inghilterra e l’aereo è decollato, la mia testa era già a Dortmund”. Tutto questo appena tre settimane dopo aver compiuto 17 anni.
Subito dopo aver ufficializzato la sua cessione al Borussia Dortmund, il Birmingham City decide di compiere un gesto epocale, sicuramente un unicum nel mondo calcistico: ritirare la maglia numero 22 del ragazzo prodigio (dalla cui cessione il Birmingham si era salvato dalla bancarotta). Con lo stesso numero di maglia, a Dortmund, Bellingham conquista subito il posto da titolare, andando a segno al suo esordio in un match di Coppa di Germania contro il Duisburg, e infrangendo l’ennesimo record (calciatore più giovane a realizzare un gol con il gialloneri, a 17 anni e 82 giorni).
La sua carriera è inarrestabile, la sua stella va più veloce della luce. Bellingham viene nominato alla sua prima stagione miglior giovane inglese dell’anno e nel frattempo debutta anche con la prestigiosa maglia della Nazionale, in un’amichevole contro l’Irlanda: solo Theo Walcott e Wayne Rooney avevano esordito prima di lui con i Tre Leoni. Nello stesso anno viene convocato per gli Europei poi vinti dagli azzurri a Wembley.
La maledizione della Nazionale inglese si conferma anche al successivo Mondiale invernale in Qatar: piena di talento ma ogni volta perdente – tranne quando, ça va sans dire, vinse nel ’66. In Qatar gli uomini di Southgate vengono sbattuti fuori dagli storici rivali francesi ai quarti di finale, ma nella controversa competizione giocata in terra qatarina a brillare più di tutti è ancora una volta Bellingham, che a soli 19 anni non solo diventa titolare della Nazionale ma è anche il migliore dei suoi nella spedizione.
Nella stessa stagione va a un passo da uno storico titolo tedesco con il Dortmund, che però si suicida clamorosamente all’ultima giornata di campionato contro il Mainz, pareggiando per 2 a 2 e consentendo così al Bayern di vincere l’undicesima Bundesliga consecutiva: Jude non è in campo in quel decisivo match, frenato da un infortunio. Le sue lacrime in panchina ricordano quelle di Ronaldo il 5 maggio 2002, e neanche il meritato premio di miglior giocatore del campionato può consolarlo.
Bellingham è l’evoluzione del box-to-box inglese?
L’ultima stagione di Bellingham in maglia giallonera è quella della definitiva consacrazione dal punto di vista tecnico, in cui si evolve in un centrocampista box-to-box che, come suggerisce il nome stesso, è capace di eccellere in ogni aspetto del gioco: rifinitura, marcatura e interdizione. Bellingham è l’ultimo esponente di una dinastia storica, quella dei “tuttocampisti” inglesi, che da quelle parti sono ormai una tradizione sportiva inscalfibile dal tempo.
Sembra quasi un destino che ne compaia uno in ogni epoca, da Martin Peters negli anni Sessanta e Settanta, a Bryan Robson negli anni Ottanta, sino ad arrivare nell’ultimo ventennio a Paul Scholes, Steven Gerrard e Frank Lampard, ma questi sono soltanto i più famosi. Probabilmente Bellingham ha qualcosa di tutti loro, ma anche di più. Non a caso è oggi titolare inamovibile del Real Madrid di Carlo Ancelotti, che lo sta reinventando addirittura come punta.
“Tutti volevano vedermi tornare in Inghilterra, cosa che apprezzo molto. Forse sarebbe stata un’opzione più semplice tornare nel mio Paese natale e vivere lì, ma a me piace l’idea di essere fuori dalla comfort zone. E soprattutto non potevo rifiutare il Real Madrid”.
D’accordo che la Premier League è il campionato più competitivo al mondo, ma il fascino della camiseta blanca del Real è imbattibile. Qui Jude sceglie di indossare la maglia numero 5, quella di Zinedine Zidane – Bellingham sente la pressione, certo. Il 20enne di Birmingham è solo il quinto calciatore inglese a vestire la prestigiosa maglia merengue, dopo Laurie Cunningham, Steve McManaman, David Beckham, Michael Owen e Jonathan Woodgate: escluso l’ultimo (di cui forse neppure gli stessi tifosi Real ricordano l’esistenza), tutti gli altri arrivarono a Madrid con la nomea di fuoriclasse, ma soltanto Beckham e parzialmente McManaman seppero ripagare le attese nei loro confronti.
L’impatto di Bellingham con il Real, lo avete visto o percepito? Quasi inspiegabile: 5 gol (e un assist) nelle prime sei partite di Liga (il Madrid in totale ha siglato 8 reti in queste prime uscite, 6 delle quali hanno coinvolto l’inglese). Solo Cristiano Ronaldo ha avuto un inizio stagionale così impetuoso, e per trovare un Under20 al suo livello statistico dobbiamo risalire fino a Raul Gonzalez Blanco: abbiamo citato due leggende della storia del Real Madrid. Mica male Bellingham, ma questa è solo mera statistica.
Tornando a parlare del calciatore, in queste prime cinque uscite stagionali Jude sembra star evolvendo ulteriormente il suo gioco: formalmente Carlo Ancelotti lo ha schierato sempre come trequartista alle spalle dei due brasiliani Vinicius Jr e Rodrygo, ma in realtà Bellingham gioca in attacco occupando lo spazio dell’area di rigore che fino allo scorso anno apparteneva a Benzema. Si perché la dirigenza madridista il suo bomber non lo ha sostituito, e pare che l’allenatore reggiano ne abbia approfittato per cambiare totalmente il modulo della sua squadra, incentrandola proprio sull’occupazione degli spazi da parte del centrocampista inglese: e finora la cosa sta andando abbastanza bene.
“Per me non è così assurdo che stia segnando in ogni partita. Uno come lui può benissimo fare 15 gol stagionali, già li aveva fatti lo scorso anno con il Dortmund. Ciò che mi sorprende di più è il suo modo di stare in campo: sta dimostrando di essere un grande rifinitore, ma allo stesso tempo un giocatore che si muove molto senza palla, ed è molto abile negli inserimenti”: dichiarazioni di Carletto Ancelotti a proposito delle caratteristiche tecniche di Bellingham, che poi ha aggiunto sull’aspetto caratteriale del ragazzo: “si è adattato molto velocemente, sembra che sia con noi già da molto tempo”.
Lo stesso Steve McManaman ha elogiato l’inizio di stagione del giovane inglese, confrontandosi anche con delle persone all’interno della società madridista:
“Arrivare nelle squadre top in Europa è dannatamente difficile. Vogliono solo il meglio e il fatto che il Real Madrid abbia scelto Jude alla sua età dimostra quanto rispetto abbiano per lui. Jude ha già dimostrato che ce la può fare. Ho parlato con molte persone nel club e sono rimasti tutti incredibilmente colpiti da lui, dal suo atteggiamento, dal modo in cui se la cava con le novità. Il fatto che non abbiamo sentito nulla di negativo è un segno importante.”
L’ex ala inglese ha poi sottolineato come chiunque arrivi al Real venga sottoposto sempre ad una pressione enorme, incomparabile con quelle di qualsiasi altro team: “Qui la cosa più importante è avere successo e basta. Se non ce l’hai beh allora diventa un serio problema: come diceva Michael Robinson quando qualcuno diventa un giocatore del Real, acquista più importanza di un ministro.” Giocare nel Real Madrid non è per tutti, figurarsi essere sin da subito determinanti per le sorti della squadra.
McManaman ha infine sottolineato come l’ambientamento di Jude ad una realtà così complessa sia stato comunque “facilitato” dal fatto che ormai l’inglese sia una lingua parlata in maniera quasi universale, e la comunicazione ha una sua grande importanza nel calcio e nello sport in generale: “Quando arrivai al Real (nel 1999, ndr) non esisteva Google traduttore e pochissimi spagnoli parlavano inglese. Adesso puoi andare ovunque e capire tutto semplicemente guardando il tuo telefono. Quindi l’adattamento di Jude non sarà un problema. La maggior parte dei giocatori ora parla inglese, quindi sarà più facile. La cosa principale è conoscere la lingua, i giocatori. Venticinque anni fa ai miei tempi nessuno in squadra parlava inglese, tranne Karembeu e Seedorf. Quando ritorno a visitare il club, e vedo alcuni membri dello staff che erano già lì allora, adesso parlano tutti inglese.”
Al di là delle ovvie facilitazioni linguistiche, Bellingham in campo sta comunque offrendo il rendimento che in tanti si aspettavano da lui, ma forse anche qualcosa in più: il ragazzo è speciale, e si trova nell’ambiente più speciale per fiorire come calciatore leggendario. “Ciò che lo ha reso diverso dagli altri giocatori che ho allenato in passato è il suo desiderio di migliorare in ogni aspetto del suo gioco fin dalla tenera età. La cosa che risaltava era il suo desiderio generale e la sua volontà di essere il migliore e di essere diverso“, il commento di Mike Dodds, suo allenatore ai tempi delle giovanili del Birmingham City. A Madrid intanto sugli spalti già intonano la celebre Hey Jude dei Beatles, mentre la sua esultanza (le braccia spalancate e lo sguardo freddo e determinato) è già culto.
Non ci resta che accoglierne lo smisurato talento: uno così nasce una volta ogni cinquant’anni, ma solo se alle spalle sa di avere una lunga tradizione. Bellingham lo sa benissimo.