E se l'élite europea se ne andasse davvero per conto suo?
Nelle prossime due settimane, le sedici migliori squadre d’Europa si contenderanno il trofeo più ambito del pallone a dodici stelle, in quattro turni di partite secche; a rendere il programma ancora più succulento è il palcoscenico di Lisbona, una delle capitali più suggestive del Vecchio Continente: di fronte alla fase finale della Champions League 19/20, se qualcuno sente odore di Superlega, non dia colpa alle allucinazioni da insolazione.
Infatti, l’edizione ridotta della fase finale della “Coppa dalle grandi orecchie” restituisce fiato ai promotori di un campionato elitario europeo riservato ai club più prestigiosi, nonché forti economicamente ed ormai talmente dominanti nelle competizioni nazionali da poter reclamare una nuova dimensione europea. Noblesse oblige si potrebbero giustificare Andrea Agnelli, Rummenigge e soci, o meglio i vertici della European Club Association.
“Si può discutere sul fatto che solo perché sei in un grande paese devi avere accesso automatico alle competizioni. Ho grande rispetto per quello che sta facendo l’Atalanta, ma senza storia internazionale e con una grande prestazione sportiva ha avuto accesso diretto alla massima competizione europea per club. È giusto o no?” Andrea Agnelli
Piuttosto che questi giri di parole melliflue e decisamente faziose (già approfondite anche dalle nostre penne), il roboante termine Superlega riporta alla mente di scrive la tesi di un comunicato diffuso qualche anno fa dagli Ultras Tito Cucchiaroni.“Sì alla Superlega europea!” sostenevano gli abitanti del secondo anello della gradinata sud del Ferraris, assumendo una posizione tanto sorprendente ieri, quanto attuale ancora oggi.
Infatti lo storico gruppo blucerchiato ha lanciato un messaggio che va ben oltre la mera provocazione. Oggi, di fronte alla crisi economica conseguente alla pandemia, l’ampliamento del divario sociale ed economico è destinato ad accelerare, nella società così come nel mondo del calcio. Ora che le televisioni si trovano a fronteggiare una fuga di spettatori, non è inverosimile pensare che le stesse possano pensare ad un nuovo programma da offrire ai clienti; un nuovo format più divertente e spettacolare degli ormai desueti campionati nazionali, da proporre preferibilmente ad un pubblico cinese, americano o arabo.
È possibile opporsi concretamente a questa ulteriore deriva del pallone postmoderno? Probabilmente no. Allora è meglio prendere coscienza del fatto che un altro calcio è possibile e percorrere una strada alternativa. Ecco, adesso anche gli ultras cominciano a parlare a vanvera della decrescita felice, penserete voi. Tutt’altro!
“BASTA! Tenetevi la superlega, il fair play finanziario, i diritti tv, gli stadi moderni, la repressione, i posti a sedere, le coreografie fatte dalle società di marketing! Andate avanti, sarebbe stupendo!” Estratto dal comunicato degli UTC
Il messaggio degli UTC apre gli occhi di fronte alla realtà: nel mondo del football gli interessi dell’aristocrazia sono decisamente diversi da quelli del popolo, dalle necessità dei tifosi. È il momento di farsene una ragione. Juve, Bayern, PSG e compagnia si sono stancate di spadroneggiare entro i confini nazionali e vogliono pascolare su prati più verdi (di quattrini): prego, conoscono dov’è la porta. Ce ne lascino due di porte, ventidue maglie e spalti un po’ grigi e fatiscenti. Il pallone lo porteremo noi tifosi e ci basterà per essere felici.
Immagine di copertina by Dave Thompson/Pool via Getty Images