Calcio
23 Giugno 2024

Il Manchester City vuole distruggere la Premier League

Dopo aver monopolizzato la Premier, il Manchester City vuole riscriverne le regole.

Si gioca ancora in Inghilterra. Non per distopiche partite amichevoli disputate a fine campionato come qualche settimana fa, ma in tribunale. Là dove ogni tifoso si rifiuterebbe di portare il pallone. Il Manchester City ha trascinato la Premier League in un’azione legale definita «senza precedenti»: lo riporta il Times.

In un iter giuridico dalla durata di due settimane, la Premier League dovrà difendersi dalle accuse del Manchester City riguardo le Associated Party Rules introdotte nel 2021. Il club dello sceicco Mansour ritiene che le regole emanate tre anni fa siano «illegittime» e specialmente «discriminatorie nei confronti delle proprietà provenienti dal Golfo Persico» – la proprietà del Manchester City proviene dagli Emirati Arabi Uniti, quella del Newcastle dall’Arabia Saudita.



Le Associated Party Rules vengono pronunciate in risposta al takeover saudita a Newcastle: l’idea era di frenare tutti quegli accordi stipulati fra i club e gli sponsor riconducibili alle stesse proprietà delle squadre, evitando flussi di denaro incontrollato e smisurato nelle casse dei club. In sintesi, evitare che le proprietà più ricche iniettino più denaro di quanto “dovuto”, preservando la competitività sana della lega. Maliziosamente, scongiurare dei nuovi Manchester City, ovverosia club mediocri improvvisamente ricchi e campioni d’Inghilterra.

La proprietà emiratina del Manchester City ritiene che queste regole invece limitino la capacità d’investimento dei club bersagliati dalle Associated Party Rules – le proprietà provenienti dal Golfo Persico, appunto. Sempre secondo il Times, la dirigenza citizen è convinta che queste regole costringano il club ad aumentare il prezzo dei propri biglietti a scapito dei propri tifosi (clienti), quindi tagliare gli investimenti nel settore giovanile e nel movimento femminile per sostenere i propri investimenti. Non basta: le Associated Party Rules non permetterebbero al Manchester City di monetizzare dal «proprio brand» quanto più possibile.



All’interno di questa causa vi è anche la contestazione dell’attuale sistema di approvazione delle regole del campionato, fissato sulla maggioranza necessaria dei due-terzi delle venti squadre, dunque quattordici, della Premier League per approvare qualsiasi provvedimento. Il Manchester City ha definito questo sistema come «tirannia della maggioranza» a cui concede un «controllo inaccettabile»: anche questo limite è nel mirino del club inglese.

Legittime o spassose che siano, le istanze avanzate dal Manchester City sono soltanto un piano tattico all’interno di una guerra strategica contro la Premier League, iniziata poco più di un anno fa e che può mettere a rischio la permanenza del City ai massimi livelli calcistici. Andiamo con ordine.


MAN CITY v PREMIER LEAGUE
IN SINTESI
Il Man City ha denunciato la PL per danni e accusa gli altri club di PL di discriminazione nei confronti delle proprietà del Golfo Persico.
Ai club attuali è stato impedito di gonfiare gli accordi con le società legate ai proprietari.
Il Man City vuole rivedere le attuali regole e sfidare il sistema dei due terzi di votazione in PL.
Le presunte 115 violazioni del Man City saranno ascoltate a novembre e l’udienza durerà sei settimane.

Non è la prima volta che il Manchester City affronta in sedi legali battaglie per il proprio conto, ed ha ottenuto grande dimestichezza nel far cadere le accuse che subisce regolarmente. Il primo grande scontro è avvenuto nel 2020, quando la UEFA aveva accusato il club inglese di ricevere introiti da sponsor fittizi rimandabili alla stessa proprietà emiratina, ergo iniettare capitale a piacimento. La UEFA aveva predisposto una squalifica di due anni da tutte le competizioni europee e una multa da £30 milioni per il Manchester City. Il club inglese ha prontamente presentato ricorso al TAS di Losanna, riuscendo a ribaltare la sentenza con l’annullamento della squalifica dalle competizioni europee e con la riduzione della multa a soli £10 milioni.

È il primo grande episodio che divide l’opinione pubblica contro il Manchester City. Di tutta risposta, i tifosi citizen cominceranno a fischiare l’inno della Champions League. Inebriati della lezione data alla UEFA, i tifosi del Manchester City si sentono invincibili anche in sede legale, non solo sul campo. Ma è soltanto l’inizio di una guerra destinata all’escalation: nessuno ha davvero mai perdonato al City l’affronto all’élite del calcio inglese.



Tre anni dopo la vittoria contro la UEFA, nel febbraio 2023 la questione si trasferisce dall’interesse europeo a quello nazionale, assumendo connotati impetuosi. La Premier League pubblica un comunicato pesantissimo nei confronti del Manchester City: riguarda la conclusione di un’indagine durata quattro anni e incentrata dalla gestione finanziaria del club inglese dal 2009 al 2018, con la formulazione di 115 capi d’accusa a cui il City dovrà rispondere in un’udienza fissata per l’autunno del 2024.

Non era mai accaduto nulla di vagamente simile nella storia del calcio inglese.

La formulazione dei 115 capi d’accusa nei confronti del City è stata una notizia che in Italia non ci ha coinvolto particolarmente, ma in Inghilterra ha avuto un impatto mediatico clamoroso. Dalla proprietà che sponsorizza Etihad sulle maglie del City fino all’impero del City Football Group, la sensazione era sempre di avere a che fare con qualcosa di assolutamente non trasparente, usando un generoso eufemismo.

Non più semplici illazioni da tifosi avversari per le valanghe di soldi spesi nelle finestre mercato, ma qualcosa di reale, fattuale. In quelle settimane di subbuglio si prevedevano retrocessioni, trofei revocati, asterischi, perfino radiazioni dal calcio inglese. Tra odio e lucidità, attorno al Manchester City si era creata un’atmosfera ancor più torbida, ma soprattutto definitiva riguardo la sua colpevolezza.

Ironicamente, quel comunicato è stato una delle spinte più forti per permettere al City di agguantare Champions League e dunque il treble. Spalle al muro, Guardiola ha sfoderato il suo arsenale retorico e teatrale nel migliore dei modi possibili. Parole e posizioni decise completamente prone alla legittimità dell’operato del board dirigenziale. Ne era costretto, si giocava per la credibilità del suo calcio e delle sue intenzioni, costringendo a una narrazione che separa ancora di più il Manchester City e i suoi avversari. Come se al City, in fondo, tornasse comodo una situazione del genere, come se per la prima volta gli Sky Blue fossero in grado di creare uno storytelling convincente attorno a loro: soli contro tutti.

In fondo, la stessa narrazione che Guardiola ha costruito attorno a sé.

Come ampiamente prevedibile, il numero 115 è diventato quindi causa di dibattito e sfregio nei confronti del City, irreale dominatore del campionato più competitivo del pianeta. Fantomatico tentativo di delegittimare un impero sportivo spesso al limite della legge, ma ad oggi ancora puro e casto. Una situazione inedita nel calcio inglese che potrebbe portare nel peggiore degli scenari (o migliori, secondo la pronuncia della vostra sensibilità) alla retrocessione del Manchester City se non alla totale radiazione dal football.



Difficile però, ad oggi, prevedere l’esito giuridico delle 115 accuse, compito gravoso di giudici che impugneranno la penna della storia dello sport inglese. Toccherà ancora aspettare l’udienza fissata per autunno 2024 prima di esprimersi definitivamente. Più semplice, invece, comprendere la duplice intenzione del Manchester City nel portare la Premier League a udienza in queste due settimane di giugno.

Scagliarsi contro le Associated Party Rules, argomento meno decisivo e urgente rispetto all’udienza dell’autunno, può macchiare la Premier League prima dello scontro finale. Obbligandola così a indietreggiare e apparire meno credibile di fronte alle accuse mosse al Manchester City, che resta in attesa di difendersi per la seconda volta in quattro anni. Destabilizzare dalle fondamenta la Premier League infatti è fondamentale per dimostrare la presunta «discriminazione» nei confronti del Manchester City.



Il board citizen si sta già muovendo come meglio può. È trapelato che l’attuale AD della Premier League, Richard Masters (che non ha voluto presenziare all’Etihad nell’ultima giornata di questa Premier League per consegnare il trofeo al club), e il suo predecessore, Richard Scudamore, abbiano dovuto consegnare tutti i propri messaggi privati che possano riferirsi al Manchester City fino all’anno 2009. Il Times ha definito quest’azione come «un’ulteriore escalation di quella che può divenire una crisi esistenziale per il calcio inglese».

Fattore cruciale: il Manchester City non è solo in questa battaglia. Dietro le azioni legali del club di proprietà emiratina c’è il tacito supporto del Newcastle saudita, ma anche quello del Chelsea e dell’Everton, quest’ultimo penalizzato durante il corso della passata stagione. Recentemente anche l’Aston Villa si è detto pronto a fronteggiare la Premier League contro le Associated Party Rules in sede legale con le stesse motivazioni del Manchester City.

Saranno mesi decisivi per il futuro della Premier League, per la prima volta impegnata in una lotta antisistema proveniente dai suoi stessi partecipanti.

Una situazione complessa rispetto alla quale non si può far altro che attendere definizione e verdetto finale. Tuttavia, se vi è una verità in tutto questo è che l’approccio al Manchester City è diventato cervellotico quasi quanto il calcio proposto da Guardiola stesso. Non è normale né giusto per un tifoso doversi confrontare regolarmente con campi d’interesse noiosi e d’ufficio come finanziamenti, immissioni di denaro, provenienza degli investimenti e a volte perfino di geopolitica. Non è questo, chiaramente, ciò per cui ci sediamo sul divano la domenica pomeriggio. Né ciò di cui vogliamo discutere durante la noia dell’estate o fra una birra e l’altra del pub.

È proprio questa una delle cause della poca digeribilità dell’impero del City da parte del resto del mondo. Al di là delle accuse legali, di sponsor mediorientali fin troppo vicini alla proprietà e di continue invasioni territoriali attraverso il City Football Group. È la sua profondità e trasversalità (da definire come involontaria, a questo punto) extracalcistica che spesso annoia o infastidisce. Che non fa godere appieno questa squadra e questo club, nemmeno trent’anni fa conosciuto soltanto per Jimmy Grimble, gli Oasis e Maine Road.



Dalla leggenda metropolitana dell’Emptyhad fino alle foto delle parate solitarie per i festeggiamenti: intorno al Manchester City c’è sempre stato un forte odore di plastica bruciata, spesso incensato dai tifosi avversari più che dall’effettiva anima incolore del Manchester City. Se è vero che prima del takeover emiratino il City fosse un club simpatico, perfino caratteristico e animato da una sua storia comunque rispettabile, dopo lo stesso si è creata una narrazione insostenibile un po’ per tutti, anche per gli stessi tifosi, spesso più impegnato nella difesa e nella giustificazione delle proprie operazione più che nei festeggiamenti dei propri trofei vinti.

Sedici anni dopo il takeover emiratino, è giusto che si cominci a programmare un futuro in cui questa narrazione attorno al Manchester City giunga a un punto definitivo. Per correttezza verso i suoi tifosi, mai complici, e per giustizia nei confronti degli altri club che competono per gli stessi trofei. E anche verso noi altri, sempre obbligati a parlare di tutto meno che del calcio. Possibilmente libero da calcolatrici e difficili discorsi di micro- e macro-economia.

Gruppo MAGOG

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A proposito di un'intervista poco pubblicizzata perché estremamente profonda.

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