Ricordi, incubi e speranze di una città e della sua squadra.
Il 1909 è un anno particolarmente significativo per la città felsinea, che ormai si appresta ad abbandonare la spensieratezza della Belle Epoque, per affrontare le angustie del Secolo Breve. Bologna fa da sfondo all’affermarsi dello sviluppo sia nel campo tecnico, grazie al successo di Guglielmo Marconi, che il 10 dicembre è insignito del Premio Nobel per il contributo agli studi sulla telegrafia senza fili, sia nell’ambito artistico. Infatti, ai primi di febbraio, il deflagrante manifesto futurista è pubblicato ineditamente sul quotidiano locale “Gazzetta dell’Emilia“, due settimane prima che FTM lanci la sua sfida alle stelle dal palcoscenico parigino.
Intanto anche i costumi popolari si adeguano alle nuove mode, soprattutto importate dall’estero, favorite dall’affermarsi del cosiddetto “tempo libero”, meritato svago che segue le fatiche lavorative. Tra le tante, spicca ovviamente “Al fòttbal”, i cui adepti sono quei matti che passano le giornate correndo dietro una palla sui prati di Caprara, nei pressi dell’odierno Ospedale Maggiore. Il 3 ottobre questi ragazùl scalmanati decidono di riconoscersi nel Bologna Football Club, sezione per le esercitazioni sportive del locale Circolo Turistico. La fondazione si svolge nei locali della Birreria Ronzani situata al civico 6 di Via Spaderie, presto elevato ad immateriale luogo della memoria dall’approvazione del piano edilizio, che porta all’abbattimento del dedalo di stradine e vicoli che si snoda tra le due Torri e piazza Maggiore.
Il Futurismo; Gazzetta dell’Emilia
Il battesimo è officiato dallo studente boemo Emilio Arnstein, già fondatore della compagine triestina Black Star, mentre il primo presidente è uno svizzero, l’aspirante odontoiatra Louis Rauch. L’autorità in campo è affidata ad Arrigo Gradi, guida del gruppo in cui figurano anche due spagnoli, universitari fuori-sede alloggiati al Collegio di Spagna. Al primo capitano si deve la scelta delle maglie a scacchi rossoblu, in omaggio al collegio elvetico di Schonberg, sul cui campo ha dato i primi calci. Le prime dispute si svolgono tra amichevoli e partite del girone veneto-emiliano, dove si rinverdiscono rivalità di campanile, con ferraresi e modenesi, e si incontrano avversari prestigiosi come Hellas Verona ed Internazionale, oggi atavici nemici.
Il sentimento per i rossoblu si diffonde velocemente sotto i portici, così si decide di passare dal campo della Cesoia allo Stadio dello Sterlino, inaugurato nel 1913. Situato ai piedi dei colli sud-orientali ed impreziosito da un’elegante tribuna coperta, sul suo terreno caratterizzato da un sensibile dislivello la squadra comincia la sua scalata verso la vetta del calcio italiano. Figura fondamentale per lo sviluppo del gioco è il primo trainer professionista della storia rossoblu, l’austriaco Hermann Felsner, ingaggiato nel settembre 1920 tramite un’offerta di lavoro pubblicata su un quotidiano viennese. Abbinando le finezze tecniche del calcio danubiano alle tattiche inglesi, egli porta il Bologna stabilmente ai vertici della Lega Nord, insidiando il primato dei club milanesi, torinesi, del Genoa e della Pro Vercelli.
Felsner (al centro, primo da sinistra) allenatore del Bologna campione d’Italia nel 1928-1929 (foto Wikipedia)
La squadra guidata da Sir Garbutt si rivela l’avversario più arcigno, ma nel 1924/25 il Grifone è domato al termine di una drammatica finale settentrionale, durata ben cinque incontri. Il primo tricolore, certificato dalla vittoria contro l’Alba Roma trionfatrice del girone Sud, è macchiato da una coda di polemiche, veleni e recriminazioni che si protrae ancora oggi. Un filone fazioso della narrazione odierna insinua che durante il Ventennio il BFC abbia raccolto i suoi successi grazie al sostegno diretto del podestà Leandro Arpinati, uomo di spicco del regime, nonché presidente della FIGC dal 1926 al 1933. In verità, la non assegnazione della scudetto 27/28 revocato al Torino per illecito sportivo, quindi spettante al Bologna secondo classificato, testimonia la sua volontà di non compromettere la credibilità con il tifo calcistico.
Sicuramente la città può beneficiare dell’influenza del gerarca, tanto da godere di un imponente intervento di riqualificazione edilizia, che rilancia l’economia cittadina dopo gli stenti del Dopoguerra. Licei, facoltà universitarie, case popolari e soprattutto il monumentale Stadio Littoriale sono edificati alla fine degli anni Venti. Nel 28/29 arriva il secondo scudetto, mentre Arpinati celebra le nozze tra il club e l’imprenditore reggiano Renato Dall’Ara, costretto al matrimonio di interesse per tutelare il fruttuoso maglificio. Archetipico emiliano, astuto e parsimonioso, si addentra nell’inedito universo del pallone regalando alla città la squadra più forte di sempre.
«Schiavio doveva essere per tutti un avversario tremendo. Vedendolo spesso ritratto da fotografi e disegnatori, me ne feci un’idea forse stramba, ma non implausibile: che avesse graffi, borghie ed uncini alle articolazioni delle braccia e delle gambe, simile a certi guerrieri che non videro l’archibugio» (Gianni Brera, nota 1).
I suoi trent’anni di presidenza sono inaugurati dai successi dei cosiddetti Veltri, che dal 35/36 al 40/41 conquistano quattro titoli nazionali. Ad onor di cronaca, è bene rimarcare che nel ’34 Arpinati sia già relegato al confino di Lipari e che i trionfi nazionali siano ribaditi in Europa da due Mitropa Cup e dal Torneo dell’Expo di Parigi del 1937, nella cui finale il Bologna rimanda il Chelsea oltremanica con quattro gol nel bagaglio. Ciò detto per non ridimensionare i meriti di un gruppo di campioni guidati dal geniale Arpad Weisz, quindi di nuovo da Felsner, dopo il suo allontanamento a causa delle Leggi razziali. Per intenderci, il principe dei cannonieri rossoblu Schiavio, il granitico Monzeglio, il funambolico oriundo Andreolo, il portiere Ceresoli e l’imprendibile ala Biavati sono protagonisti anche nei successi della Nazionale ai Mondiali del 34 e 38.
Bologna, stadio del Littoriale, 9 settembre 1934. La squadra bolognese in posa con la Coppa dell’Europa Centrale appena vinta contro gli austriaci dell’Admira Vienna, superati 5-1. Da sinistra, in piedi: l’allenatore Lajos Nems Kovács, Bruno Maini, Angelo Schiavio, Eraldo Monzeglio, Aldo Donati, Giuseppe Muzzioli (in borghese con cravatta e giacca scura); accosciati: Felice Gasperi, Giordano Corsi, Mario Montesanto, Francisco Fedullo e il massaggiatore Amedeo Bortolotti (foto Wikipedia)
Poi arriva la guerra e le vicende dell’allenatore ebreo, di Dino Fiorini e Mario Pagotto rappresentano atti differenti della stessa tragedia. Dopo il 21 aprile 1945, la statua equestre di Mussolini è rimossa dalla nicchia della Torre di Maratona e fusa; dal suo bronzo sono forgiati i due partigiani che oggi difendono Porta Lame, a testimonianza dei mutati umori cittadini. Intanto la rivalità Bartali – Coppi e l’epopea del Grande Torino incarnano le speranze di riscatto di un Paese tradito, sconfitto ed umiliato.
Non c’è alcun Piano Marshall per i rossoblu e negli anni Cinquanta si sopravvive, affidandosi alla vena realizzativa di finalizzatori come Cappello e Pivatelli. Come analizza PPP, illustre e fervente tifoso, nel Paese si abbandonano le campagne per affollare le desolanti periferie. Così, quando i palazzi di cemento armato colmano il vuoto delle case sventrate dalle bombe alleate e dal piombo nazifascista, in città si respira l’ottimismo del Miracolo Economico, mentre il Bologna torna grande.
«…E so come sia terso in questo ottobre
il colle di San Luca sopra il mare
di teste che copre il cerchio dello stadio…» (Pier Paolo Pasolini, nota 2).
Sulla panchina si siede il Dottor Bernardini che, trattando esclusivamente casi calcistici con risultati miracolosi, guadagnerà la stessa fama di Augusto Murri, il più illustre medico della storia petroniana. Si gioca come in paradiso, almeno fino a quando l’accusa di doping non tinge di giallo il campionato 63/64. La città insorge e si dà la caccia alle auto targate “MI”, finché non si dimostra che le provette sono state manomesse, gli accusati sono assolti e si aspetta la resa dei conti dello spareggio di Roma, funestato dall’improvvisa scomparsa di Dall’Ara. Nel pomeriggio del 7 giugno gli apparecchi Ducati gracchiano l’inconfondibile voce di Niccolò Carosio in diretta dall’Olimpico. Due boati squarciano l’irreale silenzio calato sotto le due Torri: Nielsen e Fogli trafiggono Sarti, regalando al Nettuno il settimo scudetto, l’ultimo.
Bernardini portato in trionfo. Il Bologna è campione d’Italia per la settima e ultima volta (foto dal sito ufficiale del Bologna FC)
Poi la Corea del Mondiale di Inghilterra consegna il gruppo bolognese alla gogna mediatica insieme all’allenatore Fabbri, falsamente accusato di partigianeria verso i convocati rossoblu. E’ il simbolico principio del declino felsineo, anche se proprio proprio l’ex c.t. azzurro guida i petroniani alla conquista della prima coccarda e della prestigiosa Coppa di Lega italo-inglese, alla fine del decennio. Nel maggio 74, di fronte ai primi nuclei ultras bolognesi, si alza la seconda Coppa Italia, poi si intraprende una lenta ed inesorabile discesa.
«..Ti amo, ti odio, ti voglio un gran bene!» (Dino Sarti, nota 3)
Si bazzica la mediocrità di metà classifica, quindi si accetta un aiutino dal Totonero per mantenere la Serie A. Nel frattempo la città vive le agitazioni studentesche e gode della libertà propugnata dal movimento giovanile del 77. Gruppi musicali e non, come i locali Skiantos, esplorano nuovi mezzi artistici per sovvertire la tradizione della morale borghese. E’ il settembre del 1981 quando la città della più antica università dell’Occidente risponde alla strage della stazione con la Lectura Dantis, interpretata dall’inconfondibile voce di Carmelo Bene, dalla sommità della Torre Asinelli.
31/07/1981, Carmelo Bene recita Dante da Torre degli Asinelli davanti a 100.000 persone (foto Twitter/Comune di Bologna)
Però, all’ultima giornata del campionato 81/82 si compie la tragedia sportiva e sul campo di Ascoli il Bologna conosce l’onta della prima retrocessione in cadetteria, seguita un anno dopo dall’inferno della C. Alla festa della decade più felice e scanzonata del calcio nostrano, i rossoblu sono colpevolmente assenti. Lo stoico sostegno della “Generazione della trasferta a Leffe” si rafforza nelle difficoltà delle serie minori, anche se in città si diffonde la morbosa simpatia per le “strisciate“, dispregiativo aggettivo sostantivato che si riferisce ai colori delle squadre delle metropoli. La piaga prende piede, favorita dai flussi migratori dalle altre regioni e dai pessimi risultati sul campo. Nell’88 si torna a rivedere le stelle della massima serie sotto la guida di Maifredi, ma nemmeno cinque anni dopo si torna in terza serie, prodromo dell’imminente fallimento.
Bologna è
una fede
e chi ci crede
la luce vede! (Skiantos, nota 4)
In tribunale il Bologna trova la salvezza nel nuovo proprietario Gazzoni, che riporta la squadra in alto. La risalita è metaforizzata dalle sgroppate lungo la linea laterale di Nervo, esterno dall’impareggiabile capacità polmonare, autentica bandiera rossoblu. Addirittura il Divin Codino giunge a benedire il nuovo corso ed il botteghino registra il record di 27.000 abbonamenti nel ’97. Se con Baggio è storia “da una stagione e via“, l’amore verso Signori è intenso e ricambiato. La sua personale rinascita va di pari passo con quella della squadra, che a fine anni Novanta conquista una Coppa Intertoto con Mazzone in panchina.
Insieme alle glorie di Basket City, l’alba del Duemila sembra dare nuova linfa ed ottimismo non solo allo sport, bensì all’intero tessuto cittadino. Poi, però, il Millenium Bug si abbatte sul Bologna nel 2005, ingenua vittima sacrificale di Calciopoli. Arriveranno dieci anni di prestazioni patetiche, gioie effimere, contestazioni e proprietari inadeguati, prima ancora che poco abbienti. Soprattutto lo Stadio Dall’Ara diviene terra di conquista davvero per tutti.
«L’idea di una comunità è fatta di tante cose: da quello che si legge a come si amministra, da ciò che si mangia al sorriso delle donne, dalla storia passata alle vicende quotidiane. Il prestigio non è solo l’Università, le strade, le case ben tenute, le cure per i bambini e le premure dei nonni, ma si affida anche a undici uomini che ogni domenica scendono in campo» (Enzo Biagi, nota 5).
Nello scontro generazionale tra tifosi anziani, testimoni dell’ultimo scudetto, ed i giovani, vittime della deprimente attualità, a cavallo della stagione 14/15 si è insediata la nuova proprietà, che ha avuto il merito di riaccendere entusiasmo. Riportata la squadra in A, gli investimenti strutturali, gli esborsi economici inediti ed un serio progetto di ristrutturazione dello stadio, per consentire al club di raggiungere l’autonomia economica, rendono difficile, se non impossibile, contestare una carenza di impegno al presidente Saputo.
Nell’ultima partita casalinga la Curva Andrea Costa ha celebrato il compleanno rossoblu (foto tuttomercatoweb)
A differenza del suo staff, addirittura il patron italo-canadese ha accettato il faccia a faccia con gli esponenti storici del tifo bolognese, nei minuti seguenti il cappotto interno contro il Frosinone del gennaio scorso, momento più critico della sua gestione. Affidata la direzione tecnica all’esperto Sabatini e la panchina all’ambizioso Mihajlovic, oggi Saputo punta alla metà sinistra della classifica, senza ripetere gli errori passati, favoriti dall’impreparazione al calcio italiano e da una politica di eccessivo laissez faire nei confronti dei dirigenti. L’Europa appare ancora lontana, ma si dice che sognare non costi nulla, almeno fino alle sessioni di calciomercato.
Oggi il Bologna rappresenta un sentimento intimo, tanto da sembrare sopito a volte, ma ancora estremamente saldo. Mentre il centro storico si svuota di bolognesi e si riempie di ristoranti, il materno vincolo con i colori rossoblu rappresenta un legame inscindibile nella bufera della globalizzazione. Gli adesivi sulle targhe e sui caschi dei motorini, i gagliardetti affissi dai barbieri e le sciarpe al collo per difendersi dalla penetrante umidità invernale rappresentano un’ultima richiesta di orgogliosa appartenenza, di fronte all’irrefrenabile liquidità della società di oggi.
Ripudiando la deriva dei “non luoghi”, se il dialetto è considerato ormai un retaggio desueto, si preservino almeno San Luca e San Petronio, i tortellini ed i colli, così come il tifo per i rossoblu. Orfano di Bulgarelli e Dalla, il carattere della bolognesità non può prescindere dal sentimento per il BFC. La narrazione relativa alla candidatura dei portici a patrimonio Unesco è un importante biglietto da visita da presentare ai forestieri, compatrioti o stranieri, ma non può essere un caso isolato. Il mondo moderno ha bisogno di storie: allora si racconti la storia d’amore che unisce una città e la sua squadra da un secolo e oltre.
NOTE
(1). Gianni Brera, articolo pubblicato nel volume “Il mezzo secolo rossoblu” (tratto da “Bologna, un secolo d’amore”; G.Marchesini, G.Marchesini editore, 2009)
(2). Pier Paolo Pasolini, tratto da “Bologna, un secolo d’amore” (G.Marchesini, G.Marchesini editore, 2009); versi tratti da originale “Diario”, Roma 1950, Scheiwiller, Milano 1960
(3). Tratto dal ritornello di “Bologna Campione”, Dino Sarti 1977
(4). Ritornello di “Fede Rossoblu”, Skiantos 2009
(5). Enzo Biagi, articolo pubblicato come prefazione del volume “Bologna, 90 anni di storia” (tratto da “Bologna, un secolo d’amore”; G.Marchesini, G.Marchesini editore, 2009)