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L’assurdo dibattito sui risultati in Serie A
Non è dai risultati che si giudica una competizione.
Pogacar, campione in tre atti
Dall'inferno al paradiso, la storia di una leggenda dello sport.
C’era una volta il calcio saudita
A che punto (e livello) è lo sport in Arabia Saudita?
Siamo tutti figli di Andrea de Adamich
L’Italia perde un padre della cultura automobilistica.
L’insostenibile lagnanza del Conte
Una retorica che ha francamente stancato.
Almaty, nel nome dei Göktürk
Una storia millenaria, un futuro ancora da scrivere.
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Premier (Super) League
Inchiesta su un campionato d'oro, ma anche di plastica.
Spalletti o non Spalletti: era questo il problema?
Due tesi, due modi di pensare la recente crisi degli azzurri.
Pogacar, campione in tre atti
Dall'inferno al paradiso, la storia di una leggenda dello sport.
Siamo tutti figli di Andrea de Adamich
L’Italia perde un padre della cultura automobilistica.
L’NBA vuole mangiarsi l’Eurolega
Il basket USA è in crisi, ma ancora ricco e molto avido.
La lunga notte di Conor McGregor
La lenta ma inesorabile caduta dell'artista marziale misto.
La NBA si commenta da sola
Lo strano caso di Kyle Lowry, giocatore e analista.
Grandi come il mondo
L'Italvolley femminile è campione mondiale.
Quel che resta di una Vecchia Signora
Il caos regna sovrano a Vinovo, Lancashire piemontese.
Milan-Como in Australia, forse, ce la meritiamo
Impotenza e rassegnazione, ecco il calcio nazionale.
San Siro è il simulacro di una Milano scomparsa
Buttate giù tutto, è il triplice fischio sul vecchio mondo.
Nel piattume della Serie A, esiste Nico Paz
Un talento giocato dal calcio.
Salviamo Pio Esposito dalla fenomenite
Perché la stampa, stavolta, non abbia la meglio.
Refcam: abbiate pietà dei poveri arbitri
Abbiate pure pietà di noi.
Lo sport è bello perché succede davvero
Intervista a Daniele Rielli.
Andare controcorrente rimanendo in equilibrio
Intervista ad Alessia Tarquinio.
Napoli, le botte e l’onore
Intervista a Cristian Lubrano, tra la curva e il ring.
Per amore del tennis
Intervista a Stefano Meloccaro, una vita sui campi (in)seguendo le palline gialle.
Ha vinto il calcio moderno
Intervista a Lorenzo Contucci, l'avvocato dei tifosi.
Possono ucciderci, ma non cancellarci dal mondo
La storia di Nadine, la tragedia (anche sportiva) della Palestina.
Giornalismo reel e getta
Ho sempre apprezzato, della pagina bianca, le sue infinite possibilità. Chiunque abbia provato a scrivere anche solo un breve articolo, si sarà accorto di come essere autori del pezzo non significa necessariamente esserne i fautori. Nessuno di noi, quando inizia a scrivere, sa davvero dove lo condurrà la parola. Eppure, una cosa la sappiamo: la scrittura, già per il solo fatto di evocare delle immagini, richiede un tacito accordo tra chi scrive e chi legge.
Chi scrive, detto altrimenti, prende un impegno – mica da poco – nei confronti del lettore. Un impegno che implica serietà nella ricerca, nella selezione e nella lettura delle fonti, nel restituire con chiarezza e semplicità questioni di ampio respiro, eventualmente – anche se non abitualmente – profondità di pensiero, per cercare di far nascere in chi legge qualcosa in più della semplice curiosità, quindi ciò che è in grado di accendere la miccia che spinge al dibattito e all’azione.
Scrivere non significa informare, ma creare un mondo. Oggi, sembra, assistiamo all’inversione di questo rapporto (già denunciata da Heidegger, su tutti): è la tecnica, lo strumento quindi, ad aver imposto le proprie leggi all’uomo creando un mondo a sua dissomiglianza.
La parola non è sfuggita a questa dinamica. Dobbiamo qui chiederci: in quale misura l’esperienza audio-visiva ha cambiato il nostro modo di percepire il mondo, anche quello sportivo? E come questa percezione ha modificato la profondità del racconto e la sua epica? Con Umberto Eco (Apocalittici e integrati, 1964), si potrebbe rispondere che la TV in un primo tempo non è stata né negativa né positiva per l’informazione, ma ha solo mutato il modo di riceverla. Eppure, in un articolo (La neo-tv) apparso su Repubblica qualche anno dopo (1983), il filosofo italiano aggiunge qualcosa di decisivo alla propria analisi: la neo-televisione, a differenza della paleo-televisione (quella in vita fino agli anni ’70), non istruisce, ma intrattiene; non mostra il mondo, ma mostra la TV che parla con lo spettatore; non è più istituzionale, ma colloquiale e commerciale; è costruita per non “lasciarti mai andare via”.
Il giornalismo sportivo rientra pienamente in questo discorso, e dalla TV agli smartphone il processo si è ulteriormente accelerato, riducendo l’epica dello sport a racconto, cronaca, pettegolezzo sportivo.
Il giornalismo sportivo e la scrittura, sua madre, sono capaci di generare un pensiero, di trasformare lo sport in epica, l’epica in tifo, il tifo in politica, la politica in sommovimento popolare, il sommovimento popolare in sottocultura. Scindere il giornalismo sportivo . . .
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